L'alimentazione dalla nascita alla prima infanzia

"dalla poppa alla pappa"

Prefazione di Giorgio Bartolozzi

Testo di Paolo Sarti

Illustrazioni di Marco Capaccioli

 

 

Indice

Prefazione

"Non saremo brevi"

Allattamento al seno: la partenza migliore

Latte: a ciascuno il suo

L'inizio della secrezione lattea

Il "colostro", primo latte

Vantaggi del latte materno

La "montata lattea"

Il latte maturo

La "ricerca del seno". La suzione

Le posizioni per allattare

Ritmi, quantitativi, orari delle poppate

Le feci del bambino alimentato al seno

Il bisogno di bere

Allattamento e vitamina D

L'alimentazione della donna che allatta

Farmaci e allattamento

Fumo e alcol

Controindicazioni e complicazioni dell'allattamento

La "Banca del latte umano"

Allattamento "artificiale"

Latti artificiali

La preparazione del biberon

"Umanizzare" il biberon

Le feci del bambino allattato artificialmente

Il divezzamento

Una tappa fondamentale della salute alimentare

Quando iniziare

Quando lasciare la poppa

Le prime pappe

Mangiare da bambini, mangiare da adulti: quali le differenze

Gli errori degli adulti: una base per l'educazione dei bambini

Bambini che "non mangiano"

Bambini che mangiano troppo

Bambini sedentari

L'accrescimento

Principi generali dello sviluppo

La crescita in peso e altezza

Prefazione

Ho accettato con piacere di scrivere la prefazione al libro sull'alimentazione dei lattante e del bambino, scritto con amore e competenza dal dottor Paolo Sarti, che da decenni ha fatto dell'allevamento e della cura dei bambino, lo scopo della sua vita.
La chiarezza e la semplicità con le quali sono svolti i vari capitoli e d'altra parte la sistematicità della trattazione, fanno di questo volume un punto di riferimento per chi vuole condurre un'alimentazione, sana e corretta in ogni suo risvolto. Anche se è un libro rivolto ai genitori, la sua lettura "fa bene" anche agli addetti ai lavori, cioè agli stessi pediatri, alle dietiste, alle puericultrici e a quanti hanno a cuore l'accrescimento e la buona salute dei bambino: il lettore, pagina dopo pagina, "ripassa" le sue conoscenze sulla materia e ha modo di completarle secondo le conoscenze moderne ed estremamente aggiornate.
Al lettore non può sfuggire che dietro le singole nozioni, s'intravede una precisa filosofia di vita, che poi è quella che l'autore ha sviluppato gradualmente durante la sua carriera professionale. Essa può essere riportata a due elementi essenziali: la necessità di un ritorno alla naturalezza della vita in genere e delle abitudini alimentari in particolare, ma senza perdere di vista (e questo è la seconda parte del messaggio) i più importanti avanzamenti della scienza, da far calare, punto per punto, nella realtà quotidiana. Quindi sì, un ritorno alle origini, ma solo quando questo ritorno risulti vantaggioso per i singoli individui, perché filtrato attraverso le moderne conoscenze, frutto della ricerca e della sperimentazione. Le scorie del passato, che non hanno risposto alla fine critica della moderna scienza dell'alimentazione, sono state abbandonate, perché inutili e talvolta dannose: la scienza al posto della superstizione e della tradizione non dimostrata.
Tutte le pagine dedicate alla valorizzazione del latte materno fanno trasparire una profonda convinzione e addirittura un rispetto e un amore per questo "tessuto", che fanno onore all'autore. Oggi in ogni parte del mondo la scelta alimentare giusta per i primi mesi della vita del "cucciolo dell'uomo" è quella del latte della propria madre: i vantaggi che anno dopo anno stiamo scoprendo sono senza alcun dubbio ancora inferiori a quelli che ci rimangono ancora da scoprire. Un terzo dell'intera massa del volume è proprio dedicata al latte materno, sempre pronto, sempre caldo, sempre a disposizione, sempre sufficientemente sterile. Questa bandiera dell'allattamento al seno è sempre stata il vessillo della pediatria fiorentina e toscana, anche nei tempi calamitosi, fra gli anni 50 e 80, durante i quali gli "amanti" del latte umano venivano considerati da molti altri pediatri, anche di estrazione accademica, come dei superati, come dei sopravvissuti, in altre parole come delle persone che non erano capaci di stare al passo coi tempi. Oggi fortunatamente hanno cambiato tutti "casacca" e a frotte sono passati a vantare i vantaggi del latte di mamma per il piccolo dell'uomo: a chi é sempre stato convinto di questo, fa così piacere questa nuova unanimità d'intenti, che non merita assolutamente rinvangare il passato, anche se passare oltre non vuol dire dimenticare.
Molta cura è stata rivolta anche al momento del divezzamento, cioè all'introduzione durante il sesto mese di alimenti diversi dal latte: vengono descritti in modo accurato e preciso i diversi alimenti e le diverse modalità di somministrazione. Viene fatto anche un giusto richiamo alla necessità, pur nel rispetto generale delle regole, di rispetto delle abitudini della famiglia, ma anche della regione di origine o infine della nazionalità.
Anche il concetto di variabilità della prescrizione è sottolineato in vari punti del libro: il pediatra cioè non deve offrire ai genitori regole fisse e troppo precise; egli deve sottolineare l'individualità di ogni singolo lattante e deve ricordare i limiti entro i quali i genitori si possono muovere spontaneamente, limiti che debbono essere sempre sufficientemente ampi. Un eccesso di medicalizzazione può risultare a volte dannoso come una completa assenza di cultura alimentare o pediatrica in generale. li pediatra è un suggeritore attento, oltre a essere l'avvocato dei bambino.
Non rimane che augurare al volume del dottor Paolo Sarti il successo che merita, nell'offrirsi come strumento pratico e scientificamente corretto nell'alimentazione del lattante e del bambino.

Prof. Giorgio Bartolozzi
Direttore del Dipartimento di Pediatria
Azienda Pediatrica Meyer

"Non saremo brevi"

Non vi spaventate: può sembrarvi un testo troppo lungo da leggere, ma questa volta non vogliamo offrirvi informazioni in pillole. Troppi danni alla nostra cultura sono stati fatti da chi ci ha informato "in sintesi", senza dilungarsi per darci strumenti per capire, perché potessimo formarci nostre opinioni. La scienza è complessa ed occorre la complessità del linguaggio per spiegarla.
La scienza e la conoscenza sono nemiche della sintesi e della fretta: vengono tradite e banalizzate. Una certa informazione giornalistica, asservita al bisogno commerciale di venire dietro alla fretta e al poco tempo che tutti dichiarano di avere, ha finito per fare torto alla cultura, quella vera, quella che nasce non solo dalla conoscenza stretta dei fatti, ma anche dalla loro analisi, con approfondite riflessioni e valutazioni.
Perché la cultura della vita non debba appartenere solo ai tecnici e non si debba dipendere dalla laurea in medicina o psicologia per sentirsi capaci di allevare i figli, occorre che gli esperti consegnino le nuove acquisizioni scientifiche con la dovuta ampiezza, chiarezza e correttezza, senza sintesi, senza titoli enfatizzanti, ma attraverso pazienti e dilungate spiegazione, nel rispetto delle molteplici angolazioni e possibili interpretazioni.
Un aspetto così naturale e antico come è l'allevamento dei figli è oggi rivestito di terminologie magiche e contorte pratiche "specialistiche" disorientanti, proprio perché troppo a lungo ai genitori sono stati impartiti ordini, consegnate regole invece che conoscenze e ampie spiegazioni.
E' vero che questa pubblicazione impone la fatica di leggere e di valutare ma la speranza è che così sia uno strumento utile per la costruzione di un bagaglio personale di conoscenze che renda capaci di accudire ai figli senza dover rinunciare a capire, evitando così di delegare ogni più piccola scelta e decisione ai cosiddetti esperti.

Firenze, giugno 1998 Paolo Sarti, pediatra.

Allattamento al seno: la partenza migliore

Quando il bambino nasce, cessa il rapporto di nutrizione diretto assicurato dal cordone ombelicale. D'ora in avanti per alimentarsi dovrà compiere uno sforzo, e assumere così i nutrienti che devono soddisfare i suoi precisi fabbisogni di energia. L'alimentazione del piccolo influisce non solo sul suo sviluppo fisico, ma anche sulla sua futura salute. E questo avviene subito, fin dalle prime poppate. Oggi sappiamo che attraverso l'alimentazione possiamo prevenire alcune malattie dell'apparato digerente e, cosa importante, si può "condizionare" l'organismo a mantenere un lungo stato di buona salute prevenendo la precoce comparsa di ipertensione, obesità, diabete e della loro più grave conseguenza: la sclerosi delle arterie del cuore, del cervello, del rene. Il rischio maggiore, nel mondo occidentale, è rappresentato da un'alimentazione in eccesso, o comunque qualitativamente errata. Lo squilibrio fra i componenti dietetici fornitori di energia (proteine, grassi o zuccheri) costringe l'organismo a un lavoro di adattamento che a distanza di anni può avere conseguenze dannose.
All'inizio della vita il latte materno offre la risposta ottimale e più semplice per una nutrizione adeguata ed equilibrata in tutte le sue componenti. L'educazione alimentare inizia con la nascita, sia per gli aspetti nutrizionali che per quelli "qualitativi". Infatti il momento alimentare é sempre (fin dall'inizio e poi per tutta la vita) un fatto anche di comunicazione e di relazione. L'allattamento al seno, ad esempio, oltre al latte offre anche la possibilità di uno scambio fisico, e cioè calore, contatto di pelle, abbraccio, ecc.: cose queste che non possono essere considerate complementari al cibo, ma sono esse stesse nutrimento. In altre parole mentre si appaga il senso della fame, si instaura anche una relazione: si crea fra madre e bambino un dialogo che è fatto di tanti messaggi corporei, individuali e quindi ricchi di significato relazionale.
L'allattamento al seno è un'esperienza del vivere umano vecchia di almeno 4 milioni di anni. Il latte materno è il primo alimento dell'uomo: il solo alimento che si adatta perfettamente sia alla sua fisiologia (per digeribilità, apporto nutritivo, garanzie igieniche), che ai suoi bisogni relazionali. Il latte materno non è solo un alimento ma un vero e proprio sistema biologico che si adatta alla velocità di crescita del lattante, alla variabilità dei suoi fabbisogni nutritivi e alle sue capacità digestive e metaboliche.
II latte che si forma nel seno materno modifica infatti la sua costituzione con il passare del tempo, in perfetta correlazione con le esigenze nutrizionali del bambino che cresce. Le modificazioni che subisce riguardano prevalentemente l'equilibrio tra i vari costituenti.

Alimenti per la vita

L'alimentazione rappresenta una funzione indispensabile di scambio con il mondo esterno, senza la quale nessuno potrebbe sopravvivere. Dall'esterno l'organismo deve assumere, attraverso gli alimenti, quei componenti che gli permettano di vivere, crescere, muoversi rinnovarsi e riprodursi. Questi componenti sono essenzialmente sei: proteine, grassi, zuccheri, vitamine, sali minerali, acqua. Proteine, grassi e zuccheri devono fornire l'energia e il materiale necessario perché l'organismo si mantenga, si rinnovi e, nel caso del bambino e dell'adolescente, cresca. Sali minerali e vitamine non forniscono calorie, ma assicurano il corretto svolgimento di queste funzioni a una velocità adeguata alle esigenze dell'organismo. A questi componenti infine va aggiunta l'acqua, che arriva a costituire l'80% del peso corporeo nel neonato (nell'adulto scende al 50%). L'acqua è il mezzo in cui avvengono tutte le reazioni chimiche dell'organismo e attraverso la quale vengono eliminate le scorie residue di tali reazioni.

Latte: a ciascuno il suo

Se si confrontano tra di loro i latti delle diverse specie animali si osservano notevoli differenze di qualità e di quantità dei diversi componenti.
Tali differenze rispondono a esigenze biologiche precise: quanto più rapida è la crescita del piccolo di una specie animale, tanto maggiore è il contenuto in proteine, calcio, fosforo, ecc. del latte della sua mamma. La composizione del latte delle varie specie influenza anche il numero delle poppate nell'arco della giornata: in particolare la specie in cui il latte è più ricco di proteine allatta meno spesso rispetto alle altre. Così ad esempio, mentre il coniglio nutre i suoi piccoli una sola volta al giorno, la donna, che ha una concentrazione di proteine nel latte assai inferiore, allatta molto più spesso.
Nutrire alla nascita il cucciolo di specie umana con latti di altri animali è certamente un errore: il latte vaccino ad esempio è preparato dalla natura per essere perfettamente adatto solo alle esigenze del piccolo della specie bovina, che ha una crescita diversa, assai più "rapida" rispetto al cucciolo dell'uomo. Solo il latte umano materno offre la totale sicurezza per il neonato, tutti gli altri latti possono essere usati in sostituzione per nutrirlo solo se modificati con complesse tecniche industriali e riadattati alle sue specifiche esigenze nutrizionali.

L'inizio della secrezione lattea

Durante la gravidanza alcuni ormoni (prodotti dalla placenta e dall'ipofisi) inducono lo sviluppo del seno: la donna avverte un aumento di volume dei seni, che alla palpazione possono presentare diffuse nodosità. La cute sovrastante diventa tesa, l'areola si fa più scura e ampia e il capezzolo si ingrossa.
Dopo il parto, con l'espulsione della placenta, l'ormone prodotto dall'ipofisi, non più inibito dagli ormoni placentari, inizia a svolgere la sua funzione di stimolo sul tessuto ghiandolare, avviando così la produzione del latte.

Il "colostro", primo latte

É questo il nome dato al latte secreto dalla mammella materna nei primi cinque-sei giorni dopo il parto. E' un alimento più giallo e più denso del latte successivo, rispetto al quale è più ricco di proteine e più povero di grassi e di zuccheri.
Per la sua composizione chimica, considerando l'alto contenuto proteico e di sali minerali, il colostro è certamente l'alimento ideale per la ripresa del peso subito dopo la nascita, quando vi può essere un piccolo calo di peso (chiamato erroneamente "calo fisiologico").
Il caratteristico colore giallo è conferito da un'abbondante presenza di carotene (precursore della vitamina A). Rispetto al latte successivo contiene meno caseina, cosa che lo rende più adatto per il neonato. Significativamente elevati i livelli di zinco: un metallo importantissimo per lo sviluppo e l'accrescimento.
Nel colostro si riscontrano anche alti livelli di anticorpi (utili per proteggere il neonato contro alcuni agenti infettivi). Ha una spiccata azione lassativa per aiutare a espellere le prime feci ("meconio"), particolarmente dense e vischiose.
La quantità di colostro secreta dalla donna in un giorno oscilla fra gli 80 e i 150 ml.
Nei primi tre-quattro giorni di vita del neonato, quando ancora si è in ospedale, è probabile che non si raggiunga una produzione di latte visibilmente abbondante: è fisiologico (cioè normale, da non "curare" con giunte di latte artificiale) che le quantità siano piccole. Anzi, è proprio questa relativa insufficienza del latte che rende "aggressivo" il neonato sulla poppa, tanto da fargliela stimolare con energiche suzioni, attivandone così il buon funzionamento.
L'allattamento precoce, subito dopo il parto, oltre ad assicurare al neonato l'apporto del colostro, favorisce nella madre il contrarsi dell'utero, prevenendo eventuali emorragie.

Allattare subito dopo il parto

Quasi tutte le donne hanno la possibilità di allattare al seno il proprio figlio, purché venga assicurato l'attaccamento precoce del neonato, libero da schemi e orari costrittivi.
Le conoscenze attuali ci fanno capire quanto fosse dannosa l'abitudine, protrattasi per anni, di obbligare il neonato a un periodo di assoluto "riposo" alimentare nelle prime ore dal parto. Nelle nursery si attendevano molte ore prima di attaccare il bambino al seno, somministrando nel frattempo acqua e zucchero (soluzione glucosata), ed accadeva di sentir dire che "dal seno dopo il parto non escono che poche gocce", finendo quasi sempre per somministrare al bambino giunte di latte artificiale.
Oggi nelle nursery ci si dovrebbe adoperare per far sì che il bambino possa attaccarsi subito al seno materno senza interferire "artificialmente", nel rispetto di fatti biologici che si ripetono uguali da migliaia di anni (e che per altro si devono ancora conoscere perfettamente). I ritmi e l'organizzazione del reparto possono rendere disagiato l'allattamento naturale. Si pensi ad esempio agli orari dell'allattamento, che si basano in genere sui ritmi di lavoro del personale e non sui ritmi alimentari dei singoli neonati, col risultato che questi mangiano ad orario e non a fame. Per ridurre questi inconvenienti, in alcuni ospedali vi è la possibilità di tenere il bambino nella stessa camera con la madre ("rooming-in").
Per quanto i ritmi ospedalieri a volte possano essere di ostacolo al regolare avvio della secrezione lattea, è facile porvi rimedio: la permanenza in ospedale è molto breve (pochissimi giorni) ed è presto possibile, una volta rientrati nella propria situazione familiare, occuparsi con la dovuta libertà e tranquillità dell'allattamento del figlio.

Vantaggi del latte materno

Non passa giorno che non si individuino nuovi "vantaggi" dell'allattamento al seno, sia per la madre che per il bambino: vantaggi di natura biologica, che si traducono fondamentalmente in un accrescimento ottimale, in una facilitata relazione affettiva e nella protezione da molte malattie, sia nell'immediato che nelle età successive (oggi ad esempio sappiamo che l'allattamento al seno esercita un effetto protettivo anche nei confronti dell'arteriosclerosi).
Vi sono poi alcuni vantaggi "pratici" certamente da non sottovalutare: un notevole risparmio economico e una semplificazione totale del momento della poppata (è tutto pronto, a temperatura perfetta e senza germi nocivi, dovunque ci si trovi, senza alcun bisogno di grammature, diluizioni, riscaldamenti, lavaggi, sterilizzazioni).

Difese immunitarie

Nel colostro umano sono state messe in evidenza varie immunoglobuline: anticorpi contro batteri e virus. Queste difese passate col latte hanno importanza per un'azione anti-infettiva svolta a livello delle mucose: nel latte si ritrovano soprattutto immunoglobuline A (IgA), quegli anticorpi cioè che svolgono una vera e propria funzione di "barriera" nei confronti dell'entrata dei germi (o altre sostanze) attraverso le mucose.
Durante l'allattamento la madre viene normalmente in contatto con germi, virus, sostanze proteiche ecc.: le stesse con le quali quindi viene in contatto il neonato. Stando a stretto contatto, come succede nei primi periodi di vita, la madre si immunizza contro lo stesso "ambiente" patogeno in cui vive il neonato. Produce allora anticorpi contro questi agenti patogeni che arrivano anche nel tessuto ghiandolare mammario e da qui nel latte. Ed è così che il neonato si ritrova ad avere questi anticorpi a difesa delle sue mucose per impedire che vi entrino i germi (i virus ecc.) presenti nell'ambiente.
La mamma è quindi una sorta di "fabbrica" di anticorpi a ciclo continuo, tempestivamente aggiornata sul tipo di difese da inviare a seconda dei pericoli ambientali presenti. In base a recenti studi si è visto che questo sistema protettivo funzionerebbe anche nei confronti di sostanze allergizzanti.
Il potere difensivo del latte materno deriva poi anche da altri fattori: nell'intestino del bambino nutrito direttamente al seno della madre si sviluppa il Bacillus bifidus la cui presenza è indispensabile per tenere sotto controllo la proliferazione degli altri batteri intestinali. Inoltre nel latte materno è presente una sostanza antibatterica, il lisozima. Questi due ultimi fattori contribuiscono a rendere i bambini allattati al seno meno soggetti alle infezioni intestinali di quanto non lo siano quelli allattati artificialmente.
La presenza di lattoferrina poi garantisce l'inibizione della crescita di batteri (coliformi) e funghi (Candida albicans). E ancora: fra i nutrienti del latte vi sono anche alcune proteine e alcuni lipidi con azione anti-infettiva e anti-infiammatoria.
Infine è stata dimostrata la presenza nel latte materno di specifiche cellule "di difesa" (linfociti, monociti, ecc.) che costituiscono un'ulteriore barriera protettiva.
Questo è quanto fino ad oggi è stato possibile accertare, ma la ricerca in questo campo è in continuo avanzamento ed è probabile che nuove insospettate caratteristiche del latte materno vengano quanto prima individuate.

Prevenzione delle allergie

Il lattante nei primi mesi di vita è particolarmente esposto al rischio di contrarre allergie per via orale. L'allattamento esclusivo al seno rappresenta il mezzo migliore per prevenire quelle malattie che sono dovute principalmente ad allergie verso componenti (antigeni) alimentari. Il latte materno conferisce infatti, come già detto, difese immunitarie intestinali verso "antigeni" della dieta materna (il colostro umano possiede ad esempio anticorpi verso le proteine del latte vaccino ingerite dalla madre).
Per la sua completezza il latte materno consente di poter ritardare il contatto con altri alimenti potenzialmente allergizzanti fino a quando la maturazione della struttura intestinale del bambino non consenta variazioni della dieta (divezzamento).

Prevenzione dell'anemia

E' ormai indiscusso il valore dell'allattamento al seno nella prevenzione dell'anemia da carenza di ferro. Pur essendo bassa la quantità di ferro presente nel latte umano (0,3-0,5 mg/l) tuttavia questo ha un assorbimento ed un'utilizzazione così elevati da coprire adeguatamente il fabbisogno del bambino che cresce. L'allattamento esclusivo al seno copre il fabbisogno in ferro del neonato a termine per almeno i primi sei mesi di vita: in seguito saranno i cibi introdotti dopo lo svezzamento che garantiranno gli ulteriori apporti di ferro necessari.

Prevenzione della carie

I bambini allattati al seno sono meno soggetti alla carie dentaria dei bambini allattati col biberon. Questo non sembra tanto legato alle differenze esistenti tra latte materno e latte artificiale (oltretutto nel latte di donna il contenuto in fluoro risulta basso) quanto piuttosto al diverso modo di succhiare: la tettarella, tenuta contro il palato durante la poppata (e spesso tenuta a lungo) favorisce il danneggiamento dei denti superiori.

Per i denti: "farmaci" o stile di vita?

Per prevenire l'insorgenza delle carie si consiglia di somministrare ai bambini compresse al fluoro, dal sesto mese di vita, per sei e anche sedici anni, regolarmente, tutti i giorni, aumentando progressivamente il dosaggio via via che il bambino cresce.
Al di là dei risultati che sembra dare, questa profilassi impone alcune riflessioni di tipo culturale, dato il messaggio negativo sul senso della salute che si invia ai figli insegnandogli a prendere tutti i giorni, per tutta la loro vita di bambini (16 anni!), una "medicina" (in realtà questo fluoro è un "supplemento" e non un farmaco, ma è innegabile che è così che viene vissuto dal bambino). Probabilmente è culturalmente più corretto, anche se gli studi ci dicono essere meno incisivo sul piano della prevenzione, insegnare presto ai figli a curare l'igiene orale e ad alimentarsi correttamente, senza supplementi farmacologici. Questo metodo però, oltre a garantire minori successi contro le carie, è sicuramente anche più faticoso e impegnativo per i genitori, e si capisce che questi possano preferire la somministrazione di una compressa, piuttosto che dover lottare perché il bambino impari a lavarsi i denti con regolarità e a mangiare poche caramelle. E' però vero che questa "fatica" ha i caratteri di una apprezzabile forma di educazione ad un sano stile di vita, mentre l'altro metodo si presenta deresponsabilizzante, ed insegna ai figli ad assoggettare la salute ai farmaci. Meno "invasiva" delle compresse si presenta la soluzione di far consumare ai bambini acque con adeguato contenuto di fluoro: la supplementazione con compresse di fluoro infatti deve variare nel dosaggio, e può essere anche "non necessaria", proprio a seconda di quanto ne contiene l'acqua che si consuma (per i primi tre anni non servono integrazioni se nell'acqua il fluoro è a dosi superiori a 0,3 ppm, dai 3 ai 16 anni non servono se presente in quantità superiori a 0,6 ppm).

La "montata lattea"

Il colostro muta gradatamente la sua composizione fino a raggiungere quella del latte maturo, attraverso uno stadio detto "latte di transizione". Diminuisce la quota di proteine e di sali minerali mentre aumenta quella dei grassi. E' questa la così detta fase della "montata lattea": i seni divengono turgidi, congestionati, caldi e spesso dolenti. Questo fenomeno avviene in genere in 3a-5a giornata (può però anche tardare di qualche giorno).
Il latte comincia ad essere secreto abbondantemente e spesso anche in dosi superiori a quello che è il fabbisogno del bambino.
Alla base del meccanismo biologico che determina il fenomeno della "montata" di latte e il mantenimento della sua produzione è, come abbiamo già visto, l'abbassarsi di livello dopo il parto di alcuni ormoni presenti in gravidanza che inibiscono la funzione di stimolo alla produzione del latte svolta da un apposito ormone ipofisario (prolattina). Con la suzione il neonato provoca un riflesso nervoso che assicura una continua e abbondante produzione di questo ormone, e anche di altri, che favoriscono il passaggio del latte dal tessuto ghiandolare ai dotti galattofori, da dove il bambino può estrarlo con facilità.
Anche in seguito sarà la "domanda" del bambino stesso a regolare la formazione e l'afflusso di latte. La quantità di latte prodotta ogni giorno aumenta progressivamente per il primo mese di allattamento poi si attesta fra il 1°e il 6° mese fra i 600 e i 900 grammi nelle 24 ore.
Non sempre questo fenomeno di avvio della secrezione avviene in termini così esuberanti e chiaramente avvertibili dalla donna; questa sensazione di "montata" infatti può mancare e l'incremento dei quantitativi di latte avvenire in modo più graduale e progressivo.
Le dimensioni del seno non influiscono affatto sul verificarsi o no di una produzione adeguata: anche un seno piccolo è in grado di produrre dosi abbondanti, sufficienti per il bambino.

II latte maturo

Il latte di donna é un composto biochimico altamente complesso, in cui ogni componente interagisce con gli altri e in cui la concentrazione dei diversi fattori nutritivi varia da donna a donna e nella stessa da settimana a settimana, da giorno a giorno, da poppata a poppata e persino nei vari momenti della stessa poppata: quindi, quando parliamo di latte maturo e della sua composizione, in realtà ci riferiamo a una struttura "media"(si pensi che in certe donne è stata perfino riscontrata una differenza, se pur piccola e non persistente, fra la composizione del latte formato dalla mammella destra rispetto a quello della sinistra!).

L'esame del latte: inutile!

Le conoscenze che abbiamo oggi sulla "variabilità" nella composizione del latte materno fanno capire come l'usanza di far analizzare il latte per vedere se "nutriente" e "buono" sia fondamentalmente inutile. Le diverse risposte che si possono avere a questo tipo di esame derivano non tanto da differenze "qualitative" dei latti quanto dai differenti metodi di raccolta del campione inviato all'esame.
Se, per esempio, si manda ad analizzare la prima parte della poppata si troverà un latte ritenuto "povero" di grassi e viceversa se il campione si raccoglie alla fine. Per avere un campione teoricamente corretto dovremmo raccogliere piccole dosi di latte a ogni poppata, all'inizio e alla fine ecc.: così facendo le risposte sarebbero tutte "buone".
Anche l'età della madre può creare differenze nella composizione del latte, che però non influiscono sull'accrescimento del bambino. L'età influisce anche sulla quantità di latte prodotto: alcuni studi hanno mostrato che una donna ventenne produce un volume maggiore di latte (e con concentrazione più elevata di grassi) rispetto a una donna di 30 anni e oltre.
Le differenze di composizione nel latte tra una donna e l'altra non rivestono un significato pratico: il latte della madre garantisce in ogni caso per almeno i primi sei mesi di vita il miglior accrescimento.

La "ricerca del seno". La suzione

Quando si accosta il bambino al seno si vede che compie dei movimenti di "ricerca": ruota il capo da una parte e dall'altra, stimolato anche dal contatto della guancia e delle labbra col seno (questa ricerca è presente anche in altre specie animali e rappresenta la fase del comportamento alimentare di preparazione alla suzione). Quando giunge in contatto col capezzolo materno questo agisce da vero e proprio "bersaglio", facendo ruotare il capo e quindi la bocca del bambino verso il lato stimolato (é importante ricordarlo quando si guida il bambino verso il seno: va toccato dalla parte verso la quale si vuole che si giri e non "spinto" dal lato opposto, altrimenti si oppone, tentando di ruotare la testa verso il lato stimolato) il capezzolo allora sfiora le labbra e inizia la suzione.
II capezzolo viene afferrato e le labbra del bambino aderiscono attorno aII'areola: la chiusura è quasi ermetica, favorita dalla presenza di pliche nella parte interna delle labbra. A questo punto inizia la suzione vera e propria: movimenti verso il basso del mento provocano una depressione che fa affluire il latte dai dotti galattofori del seno materno. Subito dopo la lingua viene innalzata verso il palato, comprimendo la zona intorno al capezzolo e facendo così affluire iI latte nella bocca.
Dopo un certo numero di suzioni (tre-cinque in media) il latte raccoltosi in bocca viene deglutito. Inizialmente il susseguirsi dei movimenti di suzione è precipitoso, poi nel corso della poppata si regolarizza, divenendo ritmico. II ritmo respiratorio del bambino si sincronizza con quello delle suzioni/deglutizioni. Insieme al latte il bambino normalmente deglutisce anche dell'aria.
In sintesi potremmo descrivere con tre passaggi il modo di alimentarsi del bambino dal seno materno: succhia, spreme, deglutisce.
Conformazioni particolari del seno materno, come ad esempio un capezzolo poco pronunciato o introflesso, possono rendere più difficoltosa la suzione, ma non impossibile: in questi casi è necessario che la madre faciliti l'attaccamento al seno guidando con le mani l'inserimento dell'areola nella bocca del bambino. In definitiva supplisce al capezzolo che ha la funzione di "richiamo" verso il seno per poterlo afferrare: essenziale per il meccanismo della suzione e la fuoriuscita del latte é solo la compressione dei dotti intorno all'areola, esercitabile anche se il capezzolo è scarsamente evidente.

Le posizioni per allattare

Non esiste una posizione ideale per allattare. Ogni donna utilizzerà, anche variandola di volta in volta, la posizione che in quel momento le risulterà più comoda.
La posizione tipica è quella seduta con il bambino in braccio. Poter appoggiare la schiena ha il vantaggio di far riposare i muscoli dorsali (Ia loro contrattura nel tempo può divenire dolorosa). L'uso di uno sgabello sotto i piedi dà Ia possibilità di rilasciare anche la muscolatura addominale. Nei giorni dopo il parto e per le poppate della notte, spesso la donna preferisce allattare sdraiata a letto, con il bambino accanto.
Variare le posizioni del bambino durante la poppata o da una poppata all'altra può avere il vantaggio di esercitare la pressione di suzione ogni volta su parti diverse dell'areola (dando cosi riposo alle altre parti).

Ritmi, quantitativi, orari delle poppate

Fidarsi del bambino

L'avvio e il mantenimento di un'adeguata secrezione lattea sono determinati soprattutto dalla suzione esercitata dal bambino sul capezzolo della madre, ogni volta che lo si attacca al seno. Questo significa che un neonato che si attacca al seno presto e con ritmo frequente è una buona garanzia per la produzione del latte.
La quantità di latte richiesta dal bambino é estremamente variabile da individuo a individuo e risente, oltre che dell'età, delle dimensioni corporee e del peso, anche del ritmo di accrescimento del singolo lattante. La dose di latte non è sempre uguale a ogni poppata, ma può variare anche molto nel corso della giornata. La quantità di latte che il bambino assume a ogni poppata non è "prescrivibile" con indicazioni matematiche: un lattante sano sa da sé ogni volta quanto latte deve prendere dal seno.

Nei primi giorni di allattamento le poppate sono in genere brevi, di pochi minuti; questo perché la quantità di latte é minore. Con l'aumentare della secrezione, le poppate si fanno più lunghe fino a stabilizzarsi su una durata media di circa venti minuti. Un tempo però che varia da bambino a bambino: ve ne sono alcuni che nei primi dieci minuti hanno già svuotato completamente il seno; altri, attaccandosi e staccandosi più volte nel corso della poppata possono richiedere anche mezz'ora di tempo. Non è possibile quindi dire a priori quanto deve stare attaccato il bambino a ogni poppata: la durata di ogni pasto sarà il frutto della "sperimentazione" che ogni bambino e ogni madre faranno assieme.
Protrarre però troppo a lungo le poppate, oltre mezz'ora, in qualche caso può creare problemi, sia per l'eccessivo protrarsi del traumatismo sul seno, col rischio di andare incontro a ragadi, sia per la maggior difficoltà che ha il bambino a trovare un regolare ritmo alimentare (non essendo scandito da adeguate pause di "riposo"). Raggiungere un ritmo di poppate più regolare e quindi "prevedibile" è un bisogno anche della madre perché le consente una migliore gestione e organizzazione della propria giornata.
Queste considerazioni valgono anche per quanto riguarda la definizione degli orari delle poppate e quindi del loro numero nell'ambito della giornata. Indicazioni esatte del numero dei pasti e della loro distanza l'uno dall'altro non possono essere date, tanto meno sotto forma di "timbri" o di prestampati. Si rischia infatti di ancorare la madre ad un protocollo alimentare astratto, non rispondente agli specifici bisogni di suo figlio. La gran parte dei neonati richiede sette pasti: per alcuni però ne possono essere necessari otto, per altri sei o anche cinque. Molto dipende dal peso del bambino, dal suo modo di poppare, dalla secrezione lattea e anche dai fattori emotivi/relazionali connessi con l'atto della suzione. I tempi di svuotamento gastrico e digestione del latte materno risultano così decisamente variabili.
Non tutti i neonati sono subito in grado di sostenere il cosiddetto "intervallo notturno": uno stacco certo essenziale per il riposo dell'adulto ma che non può essere imposto rigidamente al neonato fin dall'inizio. "Saltare" una poppata durante la notte non può che essere frutto di una graduale, progressiva abitudine, nata dall'accordo alimentare che si costruisce gradualmente fra madre e bambino. Per ottenere un ritmo prevalentemente diurno delle poppate conviene sollecitare il bambino a non fare stacchi di sonno troppo lunghi durante il giorno fra una poppata e l'altra, ad evitare che il conseguente ridursi del numero delle poppate renda difficile l'assunzione della quota totale di latte di cui il bambino ha bisogno nelle 24 ore, e diventi così inevitabile che abbia più risvegli nel corso della notte, per "completare" l'alimentazione. Non conviene però ravvicinare troppo le poppate: col passare dei giorni un ritmo alimentare troppo intenso potrebbe creare problemi digestivi, oltre che di eccessivo affaticamento della madre.
Generalmente alI'inizio dell'allattamento si consiglia di attaccare il bambino prima a una mammella poi all'altra nel corso della stessa poppata. Questo perché in fase iniziale è utile stimolare frequentemente il seno, dal momento che è proprio lo stimolo della suzione a facilitare la formazione del latte. Quando poi la secrezione è ben avviata conviene far svuotare bene tutta una mammella e passare all'altra solo se necessario (altrimenti lasciarla per la poppata successiva). La composizione del latte si modifica leggermente dall'inizio alla fine della poppata: nella parte finale, in particolare, i grassi sono più abbondanti. É preferibile allora lo svuotamento completo, per fornire al bambino ogni volta un latte più equilibrato nei suoi componenti; i grassi poi hanno una particolare importanza nel fornire il senso di sazietà alla fine della poppata.
Anche rispetto alla quantità di latte che il bambino assume a ogni poppata non si possono dare indicazioni matematiche: un lattante sano sa autonomamente ogni volta quanto latte deve prendere dal seno. E la dose di latte che assume non è sempre uguale a ogni poppata, ma varia anche molto nel corso della giornata. Il bambino sano ogni giorno assume da sé la dose di latte idonea a fornirgli le calorie necessarie, in rapporto al suo peso corporeo. La regolazione dall'esterno del seno non è possibile (e per fortuna!) ed è solo la naturale autoregolazione del bambino a determinare i quantitativi di ogni poppata.

La bilancia

L'uso della bilancia a ogni poppata per verificare se la dose di latte assunta corrisponde a quella indicata nelle istruzioni mediche è inutile, così come è inutile verificare la regolarità della crescita giornaliera, dal momento che l'aumento di peso non é costante e che oltretutto lo strumento usato, cioè la "bilancia pesa bambini", non ha la sensibilità né la precisione di questi pochi grammi.
L'accrescimento può essere valutato solo su di un arco di tempo più ampio, almeno sette-dieci giorni (anche per entrare nel campo di precisione della bilancia): in media sappiamo che un lattante nei primi mesi cresce circa 150-200g alla settimana. In caso di accrescimenti significativamente diversi, si consulta il pediatra per decidere se é necessario o no incidere sulle scelte alimentari fatte dal bambino.

Allattamento ad orario, allattamento a domanda

Nell'allattamento ad orario, l'alimentazione viene fornita indipendentemente dalla domanda del bambino ed è quindi regolata quasi esclusivamente dall'adulto. In questo modo il bambino si può trovare a ricevere il cibo senza averlo richiesto. Questo ostacola lo stabilirsi di quell'importante scambio comunicativo fra bambino e il genitore, che fa sì che Il pianto del bambino o la sua richiesta di cibo, comunque egli la formuli, venga riconosciuta e interpretata dall'adulto che può così rispondere alla domanda formulata offrendo il latte.
Il disagio creato dalla fame è una delle prime pulsioni e motivazioni del bambino a creare una relazione con l'adulto e stabilisce un modello secondo il quale in seguito possono venire organizzate tutte le altre pulsioni: un modello fondato sulla fiducia ad avere risposte soddisfacenti alle richieste esplicitate.
Quando si dà da mangiare al bambino senza che egli lo abbia richiesto, la soddisfazione della fame viene privata del suo valore comunicativo. Anche se il bambino può gradire, e spesso in effetti gradisce e accetta queste offerte di cibo, non c'è più la relazione messa in piedi dal meccanismo della domanda-risposta. In altri termini: sia il bambino che la madre subiscono ed applicano un orario prestabilito dall'esterno, senza sottoporlo a verifica fra di loro, cioè senza "parlarsi". E' certo necessario che si raggiunga una regolarità e quindi una prevedibilità degli orari delle poppate, anche per dare alla madre la possibilità di poter gestire la propria vita sociale e relazionale, ma questa regolarità non può che essere frutto di una iniziale sperimentazione fra i due, che porta ad "accordarsi" fra di loro sulla base delle singole esigenze.
Il meccanismo dell'allattamento ad orario allevia nei genitori l'angoscia ed il timore di non essere in grado di comprendere il bambino nelle sue manifestazioni così poco diversificate. Il bambino piccolo infatti, soprattutto nei primissimi mesi, non ha un repertorio di segni molto esteso: il pianto può esprimere realtà psicologiche e fisiche diverse, può essere espressione di angoscia, di dolore, di disagio, o anche semplice frutto di nuove "esperienze".
Nell'alimentazione a orario la madre si considera tranquilla perché l'applicazione di una tabella alimentare le garantisce che i bisogni del bambino, dal punto di vista del cibo, siano soddisfatti. Al contrario l'adozione di un'alimentazione a richiesta presuppone l'abbandono di ogni automatismo e di interpretazioni semplificate e riduttive dei bisogni del bambino. Non si può certo dare il latte al bambino ogni volta che piange, ed ecco allora che è necessario lo sviluppo delle capacità di osservazione e di riflessione da parte dei genitori, per capire ogni volta l'origine e la causa del pianto: questo è certamente un modo per comunicazione e relazionare col figlio.

Le feci del bambino allattato al seno

Le prime feci emesse dal neonato (meconio) sono di colore verde scuro, quasi nero, e molto vischiose. Dopo tre-quattro giorni di vita le feci assumono un colore più chiaro e diventano via via soffici e cremose, anche semiliquide, fino a raggiungere un colore senape ("giallo oro"): questa colorazione comunque non è costante ed è naturale che vari fino ad assumere a volte un colore decisamente verde (per l'esposizione all'aria).
Inizialmente, per la presenza di un particolare riflesso, il bambino può evacuare anche tutte le volte che mangia; col passare dei giorni questo riflesso si attenua ed il numero delle scariche diviene in genere di 4-5 al giorno.
Possono tuttavia passare anche alcuni giorni (3-5) fra una scarica e l'altra: questo non deve preoccupare, né questa lentezza deve essere considerata "stitichezza" (con questo termine infatti si intende solo l'emissione di feci molto compatte e asciutte e non il ritmo con cui si emettono). Si tratta in realtà di un effetto di accumulo nell'ampolla rettale, legato all'immaturità dello sfintere anale, che non "sente" lo stimolo ad aprirsi (tenuto conto fra l'altro dello scarso effetto di stimolo procurato da questo tipo di feci, così morbide e liquide). Si consiglia di attendere l'evacuazione spontanea anche se avviene dopo qualche giorno, senza ricorrere alla stimolazione locale (sondino, supposte, gambi di prezzemolo unti, ecc.). L'attesa infatti non procura danni al bambino, dal momento che le feci del lattante alimentato al seno non arrivano mai alla consistenza e alla durezza tipica della stitichezza. Inoltre gli consentiamo di farsi un po' alla volta una indispensabile "esperienza": imparare a spingere con i muscoli giusti e non con tutto il corpo, mani comprese, come fa all'inizio.
E' questo un altro aspetto che preoccupa spesso i genitori: vedere il bambino che spinge, contraendo tutto il corpo, diventando spesso rosso in viso, fa loro credere che si tratti di una difficoltà ad evacuare. In realtà il problema è più semplice e banale: il neonato non è ancora "allenato", cioè non è ancora arrivato ad identificare quali sono i muscoli necessari per l'evacuazione e quindi li usa tutti, indistintamente.

Il bisogno di bere

Il latte materno contiene esattamente la quantità di acqua necessaria al bambino. Quindi, con l'allattamento al seno non c'è alcun bisogno di bere acqua in più, oltre a quella che si assume poppando (l'88% circa del latte è rappresentato da acqua). Fanno eccezione i casi in cui è presente una condizione "straordinaria" di consumo o di perdita di acqua, come accade in presenza di febbre, vomito, diarrea, sudorazione abbondante.
Inutile e dannoso anche offrire al bambino bevande di vario tipo (tisane, infusi e altro), sia perché interferiscono con la regolarità del ritmo fame-sazietà (legato in parte proprio allo stato di dilatazione gastrica), sia perchè gli si fanno assumere molecole non previste nella naturale "millenaria" alimentazione del neonato e quindi potenzialmente dannose.

Allattamento e vitamina D

I livelli di vitamina D riscontrati nel latte materno risultano bassi: perché il bambino non corra rischi di carenza vitaminica e quindi di rachitismo deve condurre fin dai primi giorni una sana vita all'aria aperta, esponendosi sufficientemente e con regolarità alla luce solare; e questo deve avvenire anche nel periodo invernale, senza timori per il freddo.
Se sussistono condizioni ambientali sfavorevoli, causa di poca esposizione alla luce, che non è possibile rimuovere, occorre integrare l'allattamento con vitamina D in gocce.
Si stima che il fabbisogno giornaliero di vitamina D sia di circa 400 Ul. E' stato dimostrato sperimentalmente che nei lattanti di età inferiore ai sei mesi è sufficiente l'esposizione alla luce solare per 30 minuti alla settimana, se coperti dal solo pannolino, oppure l'esposizione per due ore alla settimana delle mani e del capo (che in un lattante è circa il 15-20% della superficie corporea totale) per mantenere il livello di vitamina D al di sopra dei livelli minimi necessari per la prevenzione del rachitismo. Nel bambino più grande, un adeguato apporto vitaminico durante il periodo invernale è solitamente soddisfatto dalle riserve endogene di vitamina D accumulate nel tessuto adiposo durante il periodo estivo.
Una regolare esposizione alla luce rende possibile evitare l'integrazione di vitamina D, senza il rischio che i genitori incorrano in dannosi vissuti e atteggiamenti "medicalizzanti". Somministrare tutti i giorni gocce di vitamine può essere infatti vissuto come tenere "in terapia" per mesi e mesi il bambino, che è invece sano ed alimentato nel migliore dei modi possibili. Anche se i medici considerano queste somministrazioni di vitamine non terapie ma "supplementi", non possiamo scordarci che si tratta di una lettura molto tecnica e ben lontana dal comune sentire. In altri termini il genitore che "dosa gocce da un flacone comprato con ricetta medica in farmacia" nel suo vissuto sta somministrando un farmaco, e non integrando l'alimentazione.
Nel nato prematuro è sempre necessaria una supplementazione di vitamina D, anche se è allattato al seno e conduce una sana vita all'aria aperta. Questo infatti non basta ad assicurare la copertura del fabbisogno particolarmente alto dell'organismo in rapidissima crescita del prematuro.
La somministrazione di questa vitamina (assieme ad altre: A, C, ecc.) è indispensabile quando il bambino è alimentato con latte artificiale.
Concludendo quindi possiamo dire che non sono necessarie integrazioni vitaminiche se l'allattamento è al seno ed il bambino è nato a termine, purché i genitori abbiano sempre presente l'importanza della vita alla luce del giorno, e si adoperino per portare all'aperto con regolarità il bambino, fino dai primi giorni di vita, in ogni stagione.

L'alimentazione della donna che allatta

Una donna che allatta ha bisogno di circa 500 kcal al giorno in più rispetto al normale fabbisogno. In realtà si tratta solo di una modesta aggiunta, che può non risultare necessaria, dal momento che la donna che allatta quasi sempre diminuisce il suo dispendio energetico per l'attività fisica. Spesso poi vi è un modesto "sovrappeso" acquistato in gravidanza che va smaltito.
Se necessaria, comunque, l'introduzione di queste calorie supplementari dovrebbe avvenire preferibilmente distribuita nell'arco della giornata, dal momento che la lattazione è un processo che richiede energia in modo continuo.
L'incremento di calorie richieste per l'allattamento rimane invariato indipendentemente da quanto a lungo questo si protragga. Per quanto riguarda le sostanze nutrienti, in allattamento si ha un maggior utilizzo delle proteine (40% in più, cioè circa 20 g). Aumenta anche il fabbisogno di vitamine dei complesso B, nonché di vitamina C, A ed E, in misura variabile in funzione del tipo di vitamina tra il 25 e il 70% della quantità utilizzata in condizioni abituali. Il bisogno di vitamina D aumenta invece di 4 volte. Per quanto riguarda infine l'incremento nell'utilizzo di calcio, fosforo e iodio, esso è pari circa al 50%.
E' bene chiarire che il soddisfacimento di tutte queste richieste alimentari non richiede modifiche nella normale dieta di sempre purché si tratti di una dieta equilibrata e variata, sulla base dei princìpi generali che sono a fondamento della corretta alimentazione; non servono quindi (salvo specifiche situazioni di salute valutate dal medico) integrazioni "vitaminiche" o altro; serve solo imparare a nutrirsi bene, se già non lo si faceva prima. In definitiva quindi l'allattamento (e già, prima ancora, la gravidanza) sono occasioni per rivedere la propria alimentazione apportandovi le variazioni necessarie, per mantenerle poi in seguito, oltre le situazioni contingenti di gravidanza e allattamento.
Il fabbisogno di acqua è lievemente aumentato, ma non occorre che la madre si preoccupi di bere oltre la sete che sente. Infatti, in risposta alla suzione del capezzolo da parte del bambino, il rene della madre è capace di risparmiare acqua, riducendone il volume emesso con le urine. I liquidi dunque vanno introdotti solo se si sente sete e non per forza: si beve perché si fa' latte e non viceversa. Spesso un'abbondante introduzione di liquidi dà l'impressione alla donna di poter produrre più latte, in realtà è solo una sensazione emotiva.
Fra i cibi previsti in una normale corretta alimentazione, non ve ne sono che "sciupano" il latte; non occorrono quindi restrizioni specifiche.
Alcuni alimenti in realtà possono conferire, se consumati in dosi abbondanti, un "sapore" diverso al latte; vengono però solo minimamente modificate alcune caratteristiche organolettiche (sapore, odore, gusto, colore) ma la qualità della composizione del latte non ne risente. Dal momento comunque che questo cambiamento di sapore potrebbe influire sulla voglia di poppare del bambino, si consiglia di non eccedere nel consumo di cipolla e aglio e in modo particolare di asparagi e cavoli, la cui capacità "aromatizzante" è decisamente intensa. Non è poi escluso che qualche bambino possa apprezzare queste occasionali "correzioni" al sapore del latte!
Non esistono alimenti che "fanno latte": è il mangiare correttamente che fa lavorare bene la ghiandola mammaria.
Inutile quindi, e talvolta anche dannoso, avventurarsi in diete che dicono di far aumentare il latte, o costringersi a bere (magari controvoglia) grandi quantità di latte o di birra. Per altro l'eccesso di latte rischia di indurre reazioni di sensibilizzazione nel bambino; per quanto riguarda la birra poi, bisogna non sottovalutare il suo contenuto alcolico, che può diventare significativo quando se ne consumino dosi abbondanti.
L'alcol ha un effetto dannoso sul lattante che varia a seconda delle dosi assunte dalla madre. Si consiglia di contenere al massimo la quantità di vino ai pasti e soprattutto di evitare il consumo dei superalcolici (whisky, cognac e anche amari, aperitivi ecc.) data la facilità e la rapidità di passaggio dell'alcool nel latte.
Il tè, il caffè e il cioccolato, se consumati in quantità eccessiva, causano il passaggio nel latte di sostanze eccitanti con possibili effetti negativi sul bambino.

Farmaci e allattamento

Quasi tutti i farmaci assunti dalla madre passano nel latte, dove raggiungono però concentrazioni molto inferiori a quelle che hanno nel plasma materno, tanto che le piccole dosi di farmaco che il bambino può assumere attraverso il latte in genere non arrivano ad avere un effetto "farmacologico" e quindi non rappresentano un pericolo per il bambino.
In qualche caso però, anche se a dosi basse, questi farmaci possono essere dannosi: è indispensabile quindi che la madre quando allatta non assuma mai alcun tipo di farmaco se non su indicazione medica (compreso le medicine così dette "alternative" di cui non si conosca la composizione e di cui non sia stata studiata e resa nota la possibilità di effetti tossici). In questo campo le conoscenze mediche non sono ancora sufficienti e quindi è d'obbligo una grande prudenza nell'usare farmaci durante l'allattamento.
Sono molti i fattori che influiscono sul passaggio o no nel latte di certi farmaci: la dose, la frequenza e la via di somministrazione del farmaco alla madre, la quantità di latte assunta dal bambino nell'arco della giornata, il tempo intercorrente fra la poppata e l'assunzione del farmaco, oltre naturalmente alle caratteristiche del farmaco. Sulla tossicità o no incidono anche le caratteristiche metaboliche del bambino piccolo, la sua funzionalità epatica, renale ecc. per cui, ad esempio, la permanenza di certi farmaci viene prolungata e, anche se presenti a piccole dosi, possono dare nel tempo effetti tossici da accumulo. E' raro comunque che si debba ricorrere a farmaci che rendono obbligatorio sospendere l'allattamento al seno.
Per quanto concerne l'uso della pillola contraccettiva va detto che, sebbene oggi si ricorra a pillole a basso dosaggio ormonale, è tuttavia preferibile rinunciare a questo tipo di contraccezione nel corso dell'allattamento al seno. Vi è infatti una inibizione della produzione del latte e il passaggio, per quanto minimo, di questi ormoni al bambino.

Fumo e alcol

Alcool e tabacco (nicotina) risultano tossici per il bambino, passando nel latte.
I rischi a cui è esposto il lattante quando la madre fuma derivano sia dal fatto di trovarsi a stazionare in un ambiente fumoso (tutti gli effetti negativi legati al fumo passivo) che per il passaggio che si ha nel latte di dosi più o meno abbondanti di nicotina (con effetti dannosi variabili a seconda del numero di sigarette fumate).
Fra i tanti effetti negativi che ha il fumo sull'organismo della madre ce n'è uno in particolare connesso con l'allattamento: la nicotina modifica nella donna la risposta allo stimolo fornito dalla suzione del bambino, riducendo la produzione e l'emissione di latte.
Non è possibile indicare (non essendo nota) una "dose limite": bere alcolici e fumare fa male alla salute, comunque, ma gli effetti tossici non si evidenziano certo per una modesta quantità di vino assunto a tavola o per un'occasionale sigaretta fumata durante il giorno.
Il bere ed il fumare hanno alle spalle motivazioni diverse per ognuno ed è quasi sempre inutile il semplice "prescrivere" l'abolizione di certe abitudini dannose. Più efficace risulta in genere fornire alla persona informazioni corrette e non "terroristiche", sostenendola nella ricerca di soluzioni personali, meno dannose per l'organismo. Spesso gravidanza e allattamento rappresentano delle ottime occasioni per trovare la forza di interrompere o comunque contenere queste nocive dipendenze.

Altre droghe

Particolarmente complesso il problema dell'allattamento al seno in caso di tossicodipendenze della madre da droghe cosiddette "pesanti". Già in gravidanza l'uso di queste sostanze ha fortemente ipotecato la salute del bambino. Egli si presenta alla nascita con una situazione di dipendenza da trattare sempre con specifica attenzione e può aver bisogno di una apposita terapia di disintossicazione.
L'allattamento al seno può essere praticato senza rischi per il bambino solo se la madre riesce a sospendere l'uso di queste sostanze.A rendere più critica la scelta sul tipo di allattamento da adottare si aggiunge spesso la presenza di patologie infettive facilmente collegate alla condizione di tossicodipendenza, come l'epatite C e l'AIDS. La positività della madre al virus dell'epatite C (HCV +) non sembra essere un impedimento assoluto all'allattamento, dal momento che la percentuale di rischio di trasmissione della malattia al figlio è minima. Viceversa la positività al virus dell'AIDS (HIV +) esclude completamente la possibilità di allattare senza rischi il bambino.

Controindicazioni e complicazioni dell'allattamento

Le controindicazioni vere e proprie all'allattamento al seno sono poche e limitate a malattie molto gravi che colpiscono la madre o il neonato (tumori, cardiopatie gravi, importanti malformazioni).
Situazioni di malattia transitorie della madre, come l'influenza o altre malattie infettive, non sono generalmente controindicazioni che richiedono la sospensione dell'allattamento.
Problemi specifici come la miopia o la presenza di numerose carie dentali, per lungo tempo sono stati ritenuti impedimenti all'allattamento: ad oggi però non è stato dimostrato alcun rapporto certo di peggioramento fra allattamento e miopia. Queste donne possono quindi allattare liberamente, mantenendosi per prudenza sotto controllo oculistico. Analogamente per quanto concerne le carie, è consigliata la regolarità dei controlli odontoiatrici.
Anche alcune patologie comunemente ritenute di impedimento all'allattamento al seno, come ragadi, mastite, ascessi, sono di solito del tutto compatibili: rappresentano certamente un fattore di disturbo, superabile però con alcuni accorgimenti, o al massimo costituiscono un impedimento momentaneo. In tutti questi casi comunque è bene rivolgersi al medico perché i sintomi avvertiti dalla donna siano correttamente inquadrati con una diagnosi precisa.

L'ingorgo mammario

Dopo qualche giorno dal parto, quando è più evidente la formazione del latte, può verificarsi un fastidioso aumento di volume di uno o entrambi i seni, con indurimento e dolore diffuso alla palpazione. Il disturbo può essere risolto in qualche giorno incoraggiando la frequente suzione da parte del neonato per facilitare così lo svuotamento completo dei seni. A questo scopo può essere utile anche l'applicazione sui seni prima delle poppate di impacchi caldo-umidi. In qualche caso viene consigliato l'impiego di mezzi meccanici (tiralatte o pompe aspiranti) per togliere il latte prima della poppata e agevolare così la suzione al bambino offrendogli un seno meno duro e teso. Più di rado si deve far ricorso ad appositi farmaci.

La mastite

In una piccola percentuale di casi può succedere che, a seguito di un ingorgo mammario che non si è risolto, o per ostruzione dei dotti galattofori, si verifichi un processo infettivo al seno (mastite) che in casi ancora più rari può dar luogo alla formazione di uno o più ascessi.
L'insorgenza dell'infezione è accompagnata da sintomi generali (malessere, febbre, stanchezza intensa) oltre a sintomi locali (dolore, gonfiore, arrossamento della mammella).
Anche in questo caso è necessario far svuotare regolarmente e con frequenza il seno al bambino. Non é quindi necessario sospendere l'allattamento, nemmeno dalla parte colpita dall'ascesso.
Si ricorre all'uso di antibiotici, scelti tenendo conto del tipo di germi più frequentemente in causa nelle mastiti oltre che ovviamente del passaggio di questi farmaci attraverso il latte e quindi della tollerabilità per il bambino. L'allattamento dovrà essere temporaneamente sospeso solo nel caso sia necessario intervenire chirurgicamente sull'ascesso.

Le ragadi

Si tratta di ferite (fissurazioni) che possono formarsi sul capezzolo o sull'areola anche dopo pochi giorni di allattamento, rendendolo particolarmente doloroso. La formazione delle ragadi è favorita, oltre che da fattori individuali di caratteristiche della cute, anche da una "tecnica" scorretta di offerta del seno al bambino. Il capezzolo viene traumatizzato dalla bocca del bambino soprattutto all'inizio e alla fine della poppata. Nell'attaccarlo al seno è utile che la donna, aiutandosi con le dita, comprima leggermente la zona intorno al capezzolo per facilitarne l'entrata nella bocca del bambino; al termine della poppata il distacco del bambino dal seno può essere invece facilitato introducendo un dito fra le labbra del lattante.
Le poppate troppo lunghe favoriscono le ragadi sia perché comportano un protrarsi del traumatismo sul capezzolo e l'area circostante, sia perché il rimanere troppo a lungo a contatto col latte e la saliva fa macerare i tessuti che divengono facilmente fissurabili. In qualche caso ragadi si formano come conseguenza delle cosiddette manovre di "preparazione" del seno: prima dei parto c'è chi consiglia di preparare il capezzolo con ripetuti esercizi di stiramento o applicazioni locali di alcool. Il risultato di queste manovre può essere però un danneggiamento dei tessuti, rendendoli in realtà più soggetti a traumatizzarsi sotto l'intensa e prolungata azione del bambino.
La prevenzione e la cura delle ragadi è basata prevalentemente sull'accorciamento della durata delle poppate e sulla corretta tecnica di allattamento; necessaria anche una buona pulizia del seno che va mantenuto sempre ben asciutto (si può ricorrere ad apposite coppette assorbenti per l'eventuale latte che fuoriesca fra le poppate). In qualche caso è utile l'applicazione locale di farmaci.

La "Banca del latte umano"

Le donne che allattano e che hanno latte in abbondanza possono donare il loro latte ad appositi centri di raccolta: le Banche del latte umano. Queste strutture esistono presso molte cliniche e ospedali pediatrici: sono centri adibiti alla raccolta ed alla conservazione del latte umano offerto da "donatrici". Il centro spesso provvede anche alla raccolta del latte al domicilio della donatrice, inviando operatori specializzati per eseguire la raccolta con un automezzo appositamente attrezzato. Le dosi di latte donato vengono analizzate e sottoposte a trattamenti che ne garantiscono l'idoneità igienica.
La Banca del latte di donna assicura la distribuzione gratuita del latte materno a quei neonati che non possono ricevere nessun'altra alimentazione. Avere a disposizione del latte umano in alcune particolari patologie rappresenta molto spesso una garanzia per la sopravvivenza del bambino.

("Banca del latte umano", presso Ospedale Meyer, Via Luca Giordano, Firenze. Tel 5662.443)

Allattamento "artificiale"

Quando l'allattamento al seno non è possibile o non è desiderato, il bambino deve essere nutrito con appositi latti, detti "latti artificiali", ottenuti modificando sia quantitativamente che qualitativamente il latte vaccino per renderlo quanto più simile possibile al latte di donna.

Una specie che si nutre di latte altrui

Ogni specie ha il proprio latte, con cui alimenta i cuccioli fino allo svezzamento. L'uomo sfugge a questa regola, e si è organizzato per nutrire i propri piccoli anche con latti di altre specie.
Questa tradizione è molto antica (se ne trova traccia anche in reperti archeologici dell'antico Egitto). Nei secoli le varie scoperte sulla composizione del latte materno hanno fatto sì che i latti sostitutivi diventassero sempre più adatti a garantire un corretto accrescimento del bambino ed oggi, grazie ai progressi tecnologici ed alle aumentate conoscenze, abbiamo raggiunto degli ottimi livelli di qualità. Si tratta di prodotti in costante miglioramento, soggetti a regolari revisioni fatte sulla base delle continue scoperte sulle caratteristiche e sulla composizione del latte umano.

Spesso l'allattamento artificiale è di tipo "misto": l'alimentazione del bambino comprende cioè sia il latte materno che quello adattato.
Quando una dose di latte artificiale integra la poppata al seno si parla di allattamento misto "complementare". Questo modo di allattare ha il vantaggio di garantire la stimolazione del seno a tutte le poppate: spesso questo facilita il ripristino di una adeguata secrezione lattea e può quindi ricondurre ad un allattamento esclusivo al seno. E' invece un allattamento "alternato" quello in cui si intercalano i pasti col biberon ai pasti al seno. Questa tecnica consente di calcolare la dose di latte da somministrare col biberon con più semplicità, senza dover ricorrere alla pesata del bambino (operazione per altro poco precisa ed indicativa) per valutare quanto latte ha assunto ogni volta dal seno materno.
Il principio dell'autoregolazione va sempre tenuto presente, anche per il bambino nutrito artificialmente. Tuttavia nell'allattamento artificiale è utile, per orientarsi, che i genitori conoscano i quantitativi "teorici" di latte da offrire ad ogni poppata: una dose che non necessariamente il bambino dovrà comunque assumere per intero.
A differenza di quanto accade nell'allattamento al seno, l'intervallo digestivo si fa più regolare e prevedibile: almeno due ore e mezzo-tre fra una poppata e l'altra.
In media un lattante necessita di circa 100 calorie al giorno per ogni chilo di peso corporeo e sappiamo che per fornire queste calorie occorrono circa 160 grammi di latte. Per avere allora un'indicazione di quanto latte preparare nel biberon per la poppata sarà sufficiente fare questo semplice calcolo: peso del bambino per 160, diviso il numero delle poppate giornaliere; ne ricaveremo la dose della poppata (la dose che se ne ricava indica la quantità di acqua cui va aggiunta la relativa polvere: ovviamente il volume finale ottenuto sarà superiore alla dose calcolata).
Mentre il lattante nutrito al seno sfugge al controllo rigido dei quantitativi di latte assunti con le poppate, il bambino nutrito artificialmente col biberon subisce spesso pressioni perché esaurisca tutto il quantitativo di latte preparato: è un errore di chi lo alimenta, che gli fa correre seriamente il rischio di essere nutrito in eccesso e di incorrere quindi in un dannoso sovrappeso o al contrario in un conseguente ostinato rifiuto del cibo (anoressia).

Latti artificiali

I latti artificiali vengono anche detti "latti in polvere" perché è sotto questa forma che inizialmente e per lungo tempo sono stati posti in vendita, venendo poi "ricostituiti" con l'aggiunta di acqua. Oggi però si trovano in commercio anche già in forma liquida e il loro impiego si sta diffondendo. Questi latti in forma liquida (una volta riservati solo all'uso ospedaliero) sono già pronti all'uso (è sufficiente scaldarli) ed hanno una composizione più stabile; hanno però lo svantaggio di una conservazione più limitata e alcune alterazioni qualitative, anche se forse trascurabili, legate alla sterilizzazione. La formulazione di uso domiciliare attualmente più diffusa in Italia e nel resto dell'Europa rimane per ora quella in polvere.

Vi sono vari tipi di latti artificiali in commercio. I principali sono:

Latti adattati (numeri uno): i più usati. La loro composizione è quella più vicina possibile a quella del latte materno, sia sul piano qualitativo che quantitativo. I carboidrati che contengono sono costituiti in massima parte da lattosio (come nel latte materno) e la parte restante è rappresentata da glucosio e/o maltodestrine. Questo tipo di latti viene considerato l'alimento sostitutivo del latte materno di prima scelta. Essi rappresentano quindi, in situazioni di normalità, l'alternativa più valida per i primi mesi di allattamento.

Latti di proseguimento (numeri due): dal 5-6 mese di vita sostituiscono i latti adattati. Più ricchi in minerali, vitamine, carboidrati e acidi grassi essenziali, rispondono alle mutate esigenze nutrizionali del bambino che ha ormai maturato la digestione, l'assorbimento intestinale, la funzionalità renale, ecc.
Latti di soia: si usano nei casi di intolleranza al latte vaccino. Sono formule la cui quota proteica è rappresentata esclusivamente da proteine della soia. Sono assenti lattosio e saccarosio. I grassi sono costituiti da una miscela di oli vegetali.

Latti H.A. (Hypo Allergenic): le proteine di origine bovina vengono sottoposte ad una più o meno completa frammentazione (idrolisi ad aminoacidi e peptoni); dovrebbero così perdere gran parte della loro capacità di determinare intolleranze. Questi latti si usano nei bambini a rischio familiare allergico, ma allo stato attuale delle conoscenze non sembrano aver confermato questo potere preventivo.

Per affrontare situazioni alimentari particolari sono poi disponibili molti altri tipi di latti, detti "speciali", come i parzialmente adattati, gli acidificati, gli antireflusso, gli idrolisati proteici spinti, quelli a ridotto contenuto di lattosio, e altri ancora.

Gli "adattamenti" operati dall'industria per trasformare il latte vaccino di partenza sono sostanzialmente:

- modifiche del contenuto quantitativo e qualitativo delle proteine:
il latte vaccino viene diluito (con siero di latte demineralizzato) così che la concentrazione proteica viene ridotta (nel latte vaccino è troppo elevata, e per il neonato comporterebbe un eccessivo lavoro del rene). Così facendo si abbassa anche il contenuto di caseina rendendo l'equilibrio fra i vari aminoacidi più simile a quello materno. Anche se ridotta di quantità però, la caseina del latte vaccino è comunque diversa da quella del latte umano. Per quanto diluito, nel latte adattato rimane presente una proteina (la betalattoglobulina) che sappiamo essere responsabile della gran parte dei fenomeni allergici che possono insorgere. Alcune sieroproteine presenti nel latte di donna, non nutritive ma molto importanti per funzioni protettive (lattoferrina, lisozima, immunoglobuline) in quello di mucca rimangono comunque assenti, anche dopo l'adattamento.

- modifiche della qualitativa dei grassi:
una parte di grasso viene sostituita con oli vegetali. Dal punto di vista quantitativo i grassi contenuti nel latte vaccino e nel latte materno si equivalgono. Molto differenti sono invece sul piano dei rapporti fra le varie componenti, acidi grassi saturi, insaturi ecc. L'aggiunta di una miscela di oli vegetali ricchi di acidi grassi polinsaturi corregge in parte queste differenze;

- aggiunta di idrati di carbonio:
serve a portare il latte adattato a una distribuzione calorica percentuale più vicina a quella dei latte materno. Si aggiunge in prevalenza lattosio perché il latte vaccino ne contiene quasi la metà rispetto al latte materno;

- riduzione della quota di minerali:
nel latte di mucca calcio, fosforo e altri minerali sono presenti in quantità abbondanti: la diluizione che si opera per abbassare il contenuto di caseina ottiene anche l'effetto di ridurre la quota di questi minerali. Il contenuto di ferro è basso, sia nel latte umano che in quello vaccino ma in quest'ultimo la quota assorbibile è minore. Solo alcuni latti adattati sono supplementati con ferro (c'è il rischio che il ferro libero favorisca lo sviluppo di infezioni intestinali).

A queste modificazioni più importanti seguono altri adattamenti sul piano dei sali, delle vitamine ecc. avvicinando ulteriormente la formula a quella del latte materno (oggi si tengono in considerazione nuove aggiunte, come quella della carnetina e della taurina).

Un apposito comitato di esperti, l'ESPGAN (Società Europea di Gastroenterologia Pediatrica e Nutrizionale) dà indicazioni per la formulazione corretta dei latti artificiali, costantemente aggiornate.

Anche se questi adattamenti sono ottenuti ricorrendo a tecnologie molto sofisticate, "l'umanizzazione" che si ottiene del latte di mucca In definitiva va sempre intesa in termini approssimativi. Nel latte di donna esiste una gamma di sostanze minori il cui ruolo è scarsamente noto e probabilmente di alcune non se ne conosce neppure la presenza. Comunque già con i latti attuali si sono raggiunti importanti risultati, garantendo al bambino che non può usufruire del latte materno una crescita adeguata nel rispetto dei principali indici metabolici.

La preparazione del biberon

I latti in polvere vanno "ricostituiti" in acqua, al 13 % (vale a dire che in ogni 100 ml di acqua vanno disciolti 13 grammi di polvere). Nelle confezioni si trova un apposito misurino (contenente 4,5 grammi) che va riempito, senza esercitare pressioni sulla polvere, da livellare al bordo. Si mette un misurino di polvere ogni 30 ml di acqua nel poppatoio. Nella preparazione del latte è tollerato un certo margine di variabilità, in quanto è difficile dosare matematicamente la concentrazione; i piccoli sbagli che si possono fare non hanno alcuna effetto: importante è non allontanarsi visibilmente dalle dosi di polvere indicate per evitare al bambino un apporto nutritivo inadeguato.
Si chiude il poppatoio e si agita finché la polvere non è ben disciolta, poi si intiepidisce, scaldando a "bagnomaria" o con l'apposito scalda-biberon (decisamente sconsigliato invece l'uso del forno a microonde, dato l'alto rischio di ustionare il bambino: il biberon potrebbe sembra solo tiepido all'esterno pur contenendo all'interno un latte a temperatura elevata).

Alcuni accorgimenti per garantire l'igienicità della preparazione del latte:

- lavare bene il biberon, risciacquando ripetutamente, per rimuovere del tutto i residui di detersivo. Lavare e sfregare anche la tettarella di gomma. E' preferibile lavare il biberon subito dopo l'uso, per evitare che avanzi di latte rimangano adesi alle pareti, rendendo poi difficile, una volta secchi, la loro rimozione;
- preparare il latte al momento dell'uso. Se è indispensabile prepararlo con anticipo, conservarlo riponendolo subito in frigorifero (non conservarlo comunque oltre le 24 ore). Nel caso sia necessario preparare il biberon "fuori casa", può essere utile portarsi l'acqua calda nel thermos, aggiungendovi la polvere sul momento;
- una volta aperta la confezione di latte evitare di toccare la polvere con le mani e, dopo l'uso, richiudere la confezione ermeticamente conservandola in luogo fresco (ma non in frigo) e asciutto.

Qualora non sia possibile rispettare gli accorgimenti indicati, si rende consigliabile ricorrere alla sterilizzazione (a caldo o a freddo, con gli appositi prodotti) dei biberon e della tettarella.

L'adozione di questi accorgimenti è, da una certo punto di vista, preferibile alla sterilizzazione. E' importante che si crei un clima più casalingo e meno sanitario intorno al momento alimentare del bambino: nutrirlo non è dargli una medicina e il biberon non è una "siringa" con cui somministrare un "liquido curativo", ma è semplicemente un bicchiere dalla forma un po' particolare con cui nutrire il bambino.
La carica batterica normalmente presente nel mondo circostante il bambino (sui giocattoli, il lenzuolo, le mani dell'adulto, il vestiario ecc.) è parte integrante dell'ambiente che deve essere da lui "conosciuto" e contro il quale svilupperà idonee difese (immunologiche). Questa limitata, normale presenza di germi nel biberon non è dannosa: essenziale però è che questi germi non abbiano l'opportunità di moltiplicarsi a dismisura per condizioni favorevoli (come quelle create dai residui di latte sulle pareti o dallo stazionare dei latte per alcune ore al caldo). Seguendo il consiglio di preparare il latte "al momento", ponendolo in frigorifero in caso di attesa, e lavando accuratamente il biberon subito dopo l'uso, si evita che il latte acquisti cariche batteriche pericolose.
Ben diverso invece ciò che deve essere fatto in una nursery, dove i germi spesso non sono affatto i "normali" germi di casa, ma frutto di selezioni ospedaliere, e dove oltretutto il bambino vive in condizione di promiscuità e affollamento, che rendono più probabile il contagio e le epidemie: in questi ambienti è indispensabile sterilizzare gli oggetti d'uso per l'alimentazione dei neonati.

L'acqua per preparare il latte

Tutte le acque potabili contengono disciolti dei sali minerali: se la quantità di sali è alta si parla di acque "dure", se minore si definiscono "molli" o oligominerali. Esistono poi forme intermedie dette "mediominerali".
Le acque dure sono vendute soltanto in bottiglia: se fossero distribuite con l'acquedotto, per la grossa quantità di sali di calcio che contengono, provocherebbero troppe incrostazioni alle condutture e agli apparecchi domestici. La maggior parte di queste acque dure sono usate per scopi terapeutici; alcune vengono anche usate come acque da tavola.
Dall'acquedotto escono acque molli (oligominerali) o mediominerali (e queste tendono a lasciare qualche deposito e incrostazione).
Per la preparazione del latte artificiale si consiglia l'uso di acque oligominerali o meglio "minimamente mineralizzate". Come contenuto di sali quindi va bene anche quella che esce dal rubinetto (che per legge è ipominerale): spesso però sgradevoli aspetti organolettici (odore, sapore) fanno preferire acque imbottigliate a basso contenuto di sali (residuo fisso intorno ai 100 mg/litro).
E' molto diffuso l'errore di rifuggire dall'acqua che esce dal rubinetto di casa, perché ritenuta "troppo ricca" di sali, facendo per altro poi ricorso ad acque imbottigliate del tipo "duro" (più "pesanti" dell'acqua dell'acquedotto). Un errore indotto anche da improprie campagne pubblicitarie che hanno propagandato alcune acque come "specifiche" per il latte dei bambini piccoli, quando invece appartenevano alla categoria delle acque da tavola di tipo duro: il latte in polvere contiene già nel giusto equilibrio i sali necessari e quindi l'uso di acque dure ne altera la corretta composizione. L'attenzione all'uso di acque a basso contenuto di sali è importante solo per il periodo dell'allattamento: superati i sei mesi perde di significato.

Attenzione alle bottiglie!

Spesso in casa vengono utilizzati i vuoti dell'acqua minerale per conservare altre sostanze (soluzioni di acido borico, steridrolo, liquidi per lo sviluppo fotografico, ecc.), alcune delle quali sono incolori ed inodori: c'è rischio di scambiarle con acqua e usarle per diluire il latte (è un incidente che, per quanto possa sembrare impossibile, si è già verificato troppe volte!). Ricordarsi di sostituire sempre l'etichetta originale e di segnalare chiaramente il nuovo contenuto della bottiglia, che comunque va conservata fuori della portata dei bambini e mai fra alimenti e bevande.

"Umanizzare" il biberon

E' importante seguire quei consigli che consentono di evitare la sterilizzazione del biberon: nel clima di inevitabile innaturalità creato dell'allattamento col latte artificiale, è necessario umanizzare e "demedicalizzare" quanto più possibile le procedure.
Le industrie per l'infanzia si preoccupano di "adattare" il latte perché la differenza con quello che esce dal seno materno sia minima con ottimi risultati. Altrettanto importante preoccuparsi di adattare il "modo" di somministrare questo latte ai bisogni relazionali del bambino, in modo che sempre meno nutrirlo al biberon assomigli a una "terapia medica", evitando di trasformare le madri in infermiere, circondate da sterilizzatori, termometri, pinze prenditutto, polveri, misurini, dosi, orari, grammature.
Allora nell'allattamento artificiale, per quanto il latte esca da una tettarella e non dal seno, è necessario e possibile far rivivere al bambino quell'intensità di scambi e comunicazione che si ha quando, a ogni poppata, è accolto nella nicchia dell'abbraccio di chi lo nutre (madre, padre o altri che siano), facendogli provare il contatto con la pelle (così importante soprattutto in epoca neonatale), proponendogli calore, intimità, ecc.
Oggi ormai sono risolti i grandi problemi biologici dell'uso dei latti artificiali e il vero rischio non è tanto quello della carenza di alcuni elementi tipici del latte materno, quanto piuttosto quello di non offrire col cibo anche tutto l'indispensabile bagaglio di messaggi e di relazioni che rendono veramente "completo" il nutrimento in queste epoche della vita.
In altri termini: tanto più si cura la ricostruzione di tutti gli aspetti (nutrizionali, ma anche emotivi, relazionali, fisici) dell'allattamento naturale, tanto meno l'artificialità di usare latte di mucca adattato risulta per il bambino uno "svantaggio".

Le feci del bambino allattato artificialmente

Con l'inserimento del latte artificiale, le feci semiliquide che il bambino emette quando è allattato esclusivamente al seno, divengono più solide, fino a divenire decisamente compatte quando l'alimentazione è esclusivamente artificiale.
Il mutare di aspetto delle feci all'introduzione del latte artificiale è del tutto normale e non va interpretato come stitichezza. La frequenza delle scariche diminuisce: in genere una sola volta al giorno. Il colore diviene ocra-senape.
Con i latti artificiali è però possibile (cosa che non accade mai col latte al seno) che le feci divengano troppo dure e asciutte, fino a raggiungere la situazione di vera stitichezza: in questi casi è necessario rivedere l'alimentazione del bambino.

Il divezzamento

Una tappa fondamentale della salute alimentare

Si intende per divezzamento quella fase dell'alimentazione del bambino in cui si passa da una alimentazione esclusivamente lattea, al seno o col biberon, ad una mista, con l'inserimento di altri alimenti, come frutta, biscotti, farine, vegetali, ecc.
Il divezzamento rappresenta nell'alimentazione del lattante un momento transitorio ma delicato, in cui il bambino si abitua gradualmente a cibi nuovi, diversi dal latte per sapore e consistenza, ed impara ad alimentarsi in modo diverso, con il cucchiaio. In sostanza con il divezzamento inizia un periodo che porterà il bambino a modificare radicalmente le sue abitudini alimentari e ad avvicinarsi lentamente alla dieta dell'adulto.
Il divezzamento non rappresenta solo una tappa fondamentale nell'evoluzione alimentare del lattante, ma anche un momento importante dello sviluppo fisico e sensoriale: una esperienza basilare e significativa, come lo star seduto, o l'apprendere a camminare.
E' un momento in cui si acquisiscono nuove abitudini alimentari, sulle quali si imposteranno le successive, ed è quindi determinante per la salute "nutrizionale" dell'individuo. E' importante allora che in occasione dello svezzamento il bambino acquisisca abitudini alimentari corrette, a vantaggio della sua salute nell'immediato e nel futuro.
Occorre affrontare questa delicata fase dello sviluppo alimentare con gradualità e grande elasticità, nel rispetto delle caratteristiche personali del bambino e del suo ambiente di vita. Applicare regole nutrizionali senza tenere conto che esiste una individualità nell'alimentazione, dalla quale non si può prescindere, rischia di rendere questa fase piena di ostacoli, difficoltà, frustrazioni, per il bambino e per chi lo accudisce.
Le stesse conoscenze mediche che potrebbero essere imposte come inderogabili sono soggette ad una notevole componente di opinabilità e soprattutto di "storicità", come confermano i continui cambiamenti delle indicazioni nutrizionali, via via che migliorano le conoscenze scientifiche. Giusto quindi seguire le conoscenze più recenti, ma altrettanto giusto non affidarcisi in maniera ossessiva e rigida e soprattutto acritica. Si dovrebbero allora evitare indicazioni "esatte" per quanto riguarda le date, le grammature, le scelte dei cibi, anche se questo può scontentare chi si aspetta dall'esperto istruzioni precise a cui affidarsi: sarebbe però un errore delegare al pediatra la ricerca di come applicare al figlio le conoscenze scientifiche sull'alimentazione, proprio in un momento, quello del divezzamento, in cui si è chiamati ad un grande impegno comunicativo col bambino.

Quando iniziare

Oggi si consiglia di iniziare il divezzamento nel periodo compreso fra la fine del 5° e la fine del 6° mese di vita (comunque non prima della fine del quinto mese). Prima non solo è inutile somministrare al bambino alimenti diversi dal latte, ma può essere anche dannoso. Attendere l'epoca giusta per avviare il divezzamento non fa certo correre al bambino alcun rischio di carenza: sia il latte materno che gli appositi latti artificiali sostitutivi possono fornire da soli l'energia ed il fabbisogno nutritivo necessari al bambino per tutto il primo anno.

I rischi di uno svezzamento precoce

Un divezzamento attuato prima delle date consigliate fa correre fondamentalmente due rischi: quello di un sovrappeso, per eccesso di apporto calorico, e soprattutto quello di sviluppare intolleranze e allergie. Il latte materno infatti oltre a proteggere da certe infezioni, protegge anche nei confronti delle allergie, e questo è un grande vantaggio soprattutto per quei bambini familiarmente predisposti a questi disturbi (atopici).
Il lattante contrae allergie essenzialmente per la particolare "permeabilità" del suo intestino. Grosse proteine possono attraversare la barriera intestinale, sensibilizzando il bambino che poi diviene ad esse allergico.
Lo svezzamento precoce comporta un contatto anticipato con cibi diversi dal latte materno, quali la frutta, i cereali, l'uovo: la particolare permeabilità intestinale può facilitare lo sviluppo di allergie e intolleranze per queste sostanze. La "chiusura intestinale", cioè la drastica riduzione di assorbimento di macromolecole (possibili antigeni allergizzanti) sembra avvenire fra il terzo ed il quarto mese di vita. E' proprio questo uno dei motivi che fa consigliare di non iniziare a divezzare prima della fine del quinto mese; è bene poi rinviare a fasi successive del divezzamento l'inserimento di certi alimenti di cui si conosce l'alto potere allergizzante (come il pesce, il torlo d'uovo, e in particolare il bianco dell'uovo, da rinviare all'anno).
Il latte vaccino "di latteria" è certamente una delle sostanze più allergizzanti per il bambino piccolo: si consiglia di rinviarne l'inserimento nella dieta verso la fine del primo anno. Dal momento che i latti artificiali non sono altro che derivati industriali del latte vaccino, va sempre considerata con molta attenzione l'opportunità di integrare o sostituire il latte materno, nei primi mesi di vita, con latte artificiale: deve essere sempre una scelta necessaria, inevitabile.

Quando lasciare la poppa

Il concetto ritenuto oggi più valido è quello di operare un divezzamento complementare e non supplementare-sostitutivo. In altre parole il latte materno rimane alimento fondamentale anche durante il divezzamento ed i cibi solidi rappresentano una sua integrazione e non una sostituzione. Durante lo svezzamento i cibi solidi integrativi introdotti non dovrebbero arrivare a rappresentare più del 50% del fabbisogno calorico. Il latte (sia quello al seno che quello artificiale adattato) dovrebbe continuare ad essere assunto ogni giorno a dosi intorno al mezzo litro.
Il seno materno produce latte qualitativamente valido molto a lungo, non ci si deve quindi preoccupare che dopo i sei mesi dal seno esca latte inadeguato, "divenuto acqua" come si usa erroneamente dire. E' però vero che il bambino avvicinandosi al compimento dell'anno sviluppa modalità di alimentazione e bisogni di autonomia e sperimentazione che possono trovare ostacolo nel prolungamento dell'allattamento al seno. E' probabile che in epoche storiche passate, caratterizzate da ritmi di organizzazione sociale ben diversi, prolungare l'abitudine alla poppa ben oltre l'anno di vita, assumesse significati positivi e protettivi comunque. Nel tipo di vita sociale di oggi si avverte il rischio che questo prolungamento della poppa possa contribuire ad intralciare la crescita in autonomia del bambino e il necessario evolversi del ruolo di genitori.

Alcuni criteri per il divezzamento

Le tappe del divezzamento sono spesso diverse da un bambino all'altro e diverse le strade percorribili. Le possibilità di scelta del bambino sono aumentate col divezzamento e le sue preferenze restano sempre un criterio guida valido, come durante l'allattamento.
Gli alimenti sono tanti: cibi di diverso odore e sapore o preparati diversamente sono in grado di fornire gli stessi principi nutritivi. Non è quindi giustificata l'insistenza nell'imporre un determinato cibo che il bambino rifiuta.
L'inserimento di alimenti diversi deve essere graduale, sia nella quantità che nella variabilità.
E' preferibile fare cambiamenti alimentari quando il bambino è in buona salute ed è quindi nelle condizioni migliori per adattarsi alle novità.
Verso i sei-otto mesi il bambino comincia ad avere un discreto controllo delle proprie mani: mentre mangia è attratto dal cibo e il toccarlo e il manipolarlo fa parte del suo bisogno di rendersi meglio conta di che cosa si tratti e di cosa ci si può fare. Sono esperienze da favorire e non ostacolare per paura che si sporchi o sciupi del cibo perché aiutano il bambino ad assumere un ruolo sempre più attivo ed autonomo.

Le prime pappe

Se si inizia il divezzamento nei tempi consigliati, si può dire che in linea di massima è indifferente l'ordine con cui si decide di avviare il bambino all'assaggio ed al consumo dei vari alimenti, col solo accorgimento di ritardare l'inserimento dei cibi più allergizzanti. Molte delle indicazioni che in genere si danno sono legate più ad abitudini e costumi alimentari che non a precisi concetti dietetici/nutrizionali. Lo conferma in maniera indiretta il fatto che in Italia, da regione a regione, si riscontrano diversificazioni nella scelta dei primi pasti non lattei: in certe aree si parte dai brodi vegetali, in altre con le pappe lattee (farinate), in altre ancora con piatti più elaborati.
E' essenziale tenere conto dei gusti e delle scelte manifestate dal bambino, che non necessariamente dovrà sottostare alla sequenza dettata dal pediatra per l'inserimento dei vari cibi. Vi potranno essere alimenti inizialmente non graditi, sia per il sapore che per la consistenza, ed appare del tutto logico quindi che la proposta di assaggio venga rinviata in attesa di un ripensamento dei gusti.
E' bene ricordare ancora che il divezzamento inizialmente deve servire ad integrare (e non a sostituire) il latte e, via via che procede, ad avviare un'alimentazione completa ed equilibrata fra i vari nutrienti, oltre che adeguata da un punto di vista energetico: tutte cose che dopo l'anno di vita il latte da solo non potrebbe più garantire.
Per quanto riguarda il numero dei pasti va tenuto presente che gli studi condotti fino ad oggi hanno mostrato che a qualunque età il frazionamento della dieta in pasti frequenti è preferibile al consumo della stessa quantità di cibo in un numero minore di pasti più abbondanti. In genere il bambino giunge all'epoca dei primi cibi solidi con un ritmo di quattro-cinque pasti al giorno, mantenendo questa frequenza anche durante la prima fase dello svezzamento. Dopo l'anno si è soliti alimentare il bambino con gli stessi ritmi dell'adulto: colazione, pranzo, merenda, cena.

Le "farinate"

Come prime pappe per avviare il divezzamento, per tutto il sesto mese di vita, si possono usare le farine di cereali preparate in latte ("farinate"). I cereali più comunemente usati nell'alimentazione del bambino sono il riso, il grano, il mais, l'avena, la segale. I chicchi dei cereali vengono sottoposti ad alcuni procedimenti industriali come la macinazione (molitura), la stacciatura (abburattamento), la tostatura, ecc. e se ne ricava così una serie di alimenti tipici del divezzamento: farinate, semolini, fiocchi, biscotti, pastine (dal grano, a seconda del tipo e la tecnica di macinazione, si ottengono circa una ventina di prodotti).

Una vecchia ricetta: la farinata

Prima di tutto occorre tostare la farina, per ottenere una farina "destrinizzata", dove cioè l'amido, grossa molecola, viene parzialmente ridotto a molecole più piccole, "destrine", meglio attaccabili dagli enzimi digestivi. A questo scopo la farina viene scaldata a secco (in forno o in tegame), a fuoco non troppo vivo fino a che assume un leggero colore bruno (non si deve arrivare ad un colore scuro perché la farina acquisterebbe un sapore amaro). A questo punto la farina è tostata (o "biscottata"). Prima di cuocerla si stempera a freddo in acqua, poi si fa bollire a fuoco lento per 10-15 minuti (aggiungendo via via acqua per integrare la parte evaporata). Alla fine della cottura si aggiunge il latte. Importante ricordare di aggiungere il latte solo alla fine per evitare che il calore alteri i suoi componenti. Se si vuole utilizzare oggi questa ricetta, è meglio ricorrere all'uso degli appositi latti artificiali, adattati per età.

Attualmente è raro che si faccia ricorso alla preparazione casalinga delle farinate: prevalentemente si usano le farinate "già pronte" in commercio (precotte o che richiedono alcuni minuti di cottura). E' bene ricordare che inserire le farinate (casalinghe o del commercio) significa comunque inserire il latte di mucca (per quanto adattato), il cui uso invece sarebbe preferibilmente da rinviare, come già detto, a dopo l'anno di vita.
Alcune di queste farinate vengono addizionate con vitamine, ferro e altri sali minerali. Il loro sapore può essere industrialmente corretto dall'aggiunta di frutta. Si preparano aggiungendo solamente acqua calda, essendo costituite da una o più tipi di farine già abbinate a latte in polvere.

Le prime minestre

Il divezzamento è spesso avviato partendo da pappe vegetali, oppure queste possono rappresentare la fase successiva all'introduzione delle prime farine lattee (dalla fine del sesto mese). In genere si preferisce iniziare proprio con i brodi vegetali, sia per non abituare il bambino a sapori troppo dolci che per non dover inserire latte di mucca (presente, anche se adattato, nelle farinate).

La pappa vegetale

Si prepara un brodo vegetale utilizzando verdure fresche di stagione. Si sente spesso consigliare di evitarne alcune, come il cavolo o la cipolla, ma in realtà non esistono motivazioni di tipo nutrizionale. Il problema potrebbe essere quello di un eventuale sapore non gradito al bambino, ma è chiaro che si tratta di una valutazione presuntiva e molto basata su luoghi comuni, In altri termini non è affatto detto che il bambino non debba gradire certi aromi più intensi derivanti da alcune verdure. Il brodo si ottiene facendo bollire per circa un'ora, a fuoco lento, le verdure, dopo averle ben lavate, tagliate a pezzi e messe in acqua non salata. Una cottura fatta alla massima temperatura e nel minor tempo possibile (ad esempio nella pentola a pressione) è secondo alcuni preferibile perché ritenuta la più adatta per conservare parte delle vitamine termolabili. Il brodo che ne deriva ha un apporto calorico praticamente trascurabile ed è ricco di sali (in particolare potassio) e di oligoelementi che fuoriescono dalla verdura a seguito della cottura. Vi si aggiunge poi una parte delle verdure passate (un paio di cucchiai circa, corrispondenti a 30-40g) contribuendo così all'apporto ulteriore di vitamine, calcio, fibre e, in una modesta quota, di proteine, e soprattutto carboidrati.
L'apporto calorico viene incrementato aggiungendo al brodo con verdure passate l'olio (due cucchiaini di olio di oliva extravergine, oppure, per incrementare l'apporto di polinsaturi, un cucchiaino di extravergine e uno di olio di semi di girasole, per un totale di circa 6g) e parmigiano reggiano grattugiato (due cucchiaini, circa 10g).
A questa minestra infine si aggiunge una quota di cereali (30-40g): si possono usare farine di riso, mais, grano, avena, segale o cereali misti; in genere si abitua il bambino con gradualità alla consistenza, passando in progressione dai semolini ai fiocchi e infine alle pastine.

In commercio ormai da molto tempo si trovano paste arricchite di glutine (pastine glutinate), di uovo, ortaggi, ecc. e preparazioni precotte che possono dimostrarsi utili in particolari condizioni (ambientali o di tempo disponibile) riducendo il lavoro di preparazione della pappa. Se si rispettano adeguati tempi di divezzamento e si tiene conto delle esigenze nutrizionali del bambino al variare dell'età, la necessità di ricorrere a pastine particolari ("da bambini") è giustificata solo dal fatto di dover tenere conto, a volte, di una certa gradualità nell'abituare il bambino stesso alla granulosità del cibo, e non da specifiche esigenze nutrizionali.
Dopo la pappa vegetale si somministra frutta fresca.
Col progredire del divezzamento si integra l'apporto calorico e si variano le fonti dei vari nutrienti (grassi, proteine, carboidrati) inserendo legumi, carni (agnello, coniglio, pollo e tacchino), pesce (magro), uovo (un tuorlo alla settimana), ecc.
Anche le tecniche di elaborazione del cibo variano e si comincia ad abituare il bambino ad assaggiare i vari alimenti separatamente, fino a raggiungere verso l'anno un modello di organizzazione del pasto del tutto sovrapponibile a quello dell'adulto, sia nella forma (primo, secondo, contorni, frutta, ecc.) che nella sostanza (cioè tipo di alimenti e loro elaborazione in cucina).
Concetto da avere sempre presente nell'elaborazione di un menù è che nessun alimento può considerarsi "completo" o "perfetto", cioè contenente tutte le sostanze necessarie a soddisfare le nostre esigenze nutritive. Occorre allora variare più possibile le scelte alimentari. La diversificazione delle scelte oltre che servire a soddisfare il piacere della tavola attenua per altro anche il rischio di squilibri metabolici e riduce la possibilità di inserire in dosi significative sostanze estranee eventualmente presenti negli alimenti.

Omogeneizzati e liofilizzati

Gli omogeneizzati (sia di carne, che di ortaggi, che di frutta) sono prodotti alimentari pronti per l'uso, confezionati in forma sterile ed in recipienti ermeticamente chiusi, partendo da nutrienti opportunamente controllati, sottoposti ad un processo di omogeneizzazione atto a renderli di facile ingestione e digestione.
Le tecniche di omogeneizzazione degli alimenti furono introdotte per la prima volta negli Stati Uniti negli anni '30. Nati come prodotti dietetici particolari, indicati in alcune patologie digestive, hanno finito con gli anni per divenire di uso abituale nell'alimentazione del bambino, tanto che soprattutto dagli anni '60 hanno rappresentato il prodotto base per il divezzamento. I prodotti omogeneizzati sono stati una delle cause dell'inopportuna anticipazione dell'età del divezzamento: la massiccia propaganda con la quale sono stati lanciati sul mercato ha fatto si che si fosse giunti a divezzare i bambini già al secondo-terzo mese di vita. Oggi il loro consumo è diminuito, ma ancora molto presenti sono gli erronei concetti che hanno introdotto nel campo dell'alimentazione infantile.
Il procedimento tecnologico usato per la preparazione di questi prodotti ha lo scopo di ridurre la materia prima in particelle micronizzate, senza che si abbia perdita dei nutrienti. Questa frammentazione aumenta la superficie esposta agli enzimi ed ai succhi digestivi e quindi aumenta la digeribilità. E' proprio la maggiore digeribilità, che si ottiene frantumando finemente l'alimento, che ha portato a somministrare al bambino cibi in età in cui normalmente non avrebbe potuto facilmente digerirli. Ma è proprio questo l'errore: per anticipare l'introduzione di un alimento se ne fa una sorta di pre-digestione industriale. Molto più logico e rispettoso dei tempi maturativi del bambino somministrargli questo alimento quando le sue strutture saranno pronte per digerirlo, senza l'aiuto di "digestioni meccaniche".
L'uso di questi preparati rimane invece utile occasionalmente, quando la preparazione del cibo per il bambino debba avvenire in ambienti disagiati o comunque quando il tempo (o la voglia) a disposizione per cucinare viene a mancare. In quest'ottica quindi è evidente che non si tratta di "prodotti per bambini" ma di "prodotti per adulti che hanno bambini e non hanno il tempo o il modo di cucinargli il cibo".
Quanto detto fino ad ora vale anche per i liofilizzati che si differenziano dagli omogeneizzati solo sul piano "strutturale": la prima fase del procedimento tecnologico per l'elaborazione del liofilizzato è sovrapponibile a quella che si usa per omogeneizzare; la tappa successiva consiste nella disidratazione.

Mangiare da bambini, mangiare da adulti: quali le differenze?

Il processo del divezzamento porta gradualmente il bambino da una alimentazione unicamente lattea ad una variata come quella dell'adulto. Quando questo percorso alla scoperta del cibo si conclude (almeno nei suoi aspetti fondamentali, e questo avviene in genere verso l'anno o poco più) non sarà più necessario avere accorgimenti specifici per il bambino: la cucina sarà unica, ed i principi nutrizionali da seguire per gli adulti e per i bambini saranno gli stessi.
Le sole differenze che rimarranno saranno relative all'apporto calorico: su questo versante l'organismo in crescita deve avere un apporto in più rispetto all'organismo ormai adulto.

Un po' di numeri

Nel primo anno di vita occorrono circa 100-110 Kcal al giorno per ogni Kg di peso corporeo. Dopo i tre-quattro anni ne bastano 70-80, e dopo i dieci anni il fabbisogno si riduce a circa 50 Kcal al giorno per kg di peso.

Nei primi sei mesi di vita le calorie introdotto con l'alimentazione vengono all'incirca così ripartite:

il 55% delle calorie introdotte serve per il buon funzionamento dei suoi organi ed apparati (fabbisogno energetico di base: metabolismo basale);
il 15% serve per l'attività motoria (attività fisica muscolare) e per il mantenimento della temperatura corporea (termoregolazione);
il 20% è per l'accrescimento;
il 10% va perduto e non utilizzato (perdita con gli escreti, feci e urine).

Nel bambino per avere un grammo di aumento del peso corporeo ci vogliono circa 7 calorie. Oltre alla quota energetica in più per l'accrescimento bisogno tenere presenti anche alcune modeste differenze nella distribuzione dell'apporto calorico fra i vari principi nutritivi:
I lipidi (= grassi), che nel lattante forniscono il 45-50% delle calorie, da dopo il divezzamento devono fornire il 35% circa delle calorie, decrescendo progressivamente fino a poco meno del 30%, come nell'adulto. Mentre col progredire dell'età la richiesta lipidica diminuisce, va invece aumentando quella glucidica (= zuccheri o carboidrati): partendo dal 45% delle calorie totali fornite nel lattante si arriva fino al 60% circa nell'adulto. L'apporto calorico delle proteine rimane invece pressoché invariato nelle varie età, attorno al 10%.

Gli errori degli adulti: una base per l'educazione dei bambini

Il divezzamento del bambino potrebbe rappresentare un'ottima occasione per gli adulti di rivedere i propri errori ed arrivare ad una cucina più sana per tutti, dal momento che, dopo il primo anno, non esiste un'alimentazione da bambino e una da adulti, ma piuttosto un'alimentazione adatta all'organismo umano. E quindi dopo l'anno di vita, per sapere come dovrebbe mangiare il bambino, non si deve far altro che guardare a quelli stessi principi nutrizionali su cui siamo chiamati ad impostare la nostra alimentazione di adulti.
E' proprio sulla qualità dell'alimentazione infantile che si deve puntare perché fin dall'inizio l'uomo possa apprendere comportamenti alimentari più corretti. Certamente è più faticoso per un adulto correggere gli squilibri della propria dieta che non per un bambino apprendere subito una dieta corretta.
A conclusione quindi una sintesi di quelli che sono i principali difetti dell'alimentazione dell'adulto nella società industrializzata: è avendo come obbiettivo la rimozione di questi errori che si deve impostare l'educazione alimentare dei bambini per avere in futuro adulti che riscoprano il piacere di mangiare meglio.

Eccessivo apporto energetico

Le abitudini di vita createsi nelle società industrializzate hanno decisamente modificato il fabbisogno energetico dell'uomo: si sono notevolmente ridotte le spese energetiche per il lavoro e la conduzione della vita quotidiana (riscaldamento degli ambienti, mezzi di trasporto). La maggior parte di adulti e bambini conduce una vita troppo poco attiva sul piano motorio.
Si calcola che, mediamente, in questo tipo di società, l'apporto di energia con l'alimentazione sia divenuto superiore al necessario di circa il 30%. Se si ingerisce più cibo di quanto se ne consuma, questo si accumula nel corpo sotto forma di grasso, determinando un aumento del peso. Il sovrappeso e l'obesità che ne derivano sono alla base di numerose malattie e incidono sensibilmente sui livelli di mortalità. Il peso stabile, nei limiti della norma, contribuisce a far vivere meglio e più a lungo: eccesso di peso ed eccessiva magrezza sono fattori di rischio.
Gli studi mostrano che l'abitudine a sovralimentarsi, e i suoi presupposti, si creano già nell'infanzia: un dato questo che risulta in aperto contrasto con la diffusa preoccupazione dei genitori che i propri figli non mangino abbastanza.

Eccessivo consumo di grassi (lipidi)

E' questo uno dei motivi che stanno alla base dell'eccessivo apporto energetico: infatti i grassi sono i nutrienti che, a parità di quantità, hanno il più alto valore energetico (9 Kcal per grammo). I grassi di origine animale (ricchi di grassi saturi) sono i più dannosi: questi grassi favoriscono il determinarsi di elevati livelli di colesterolo nel sangue. Malattie come l'arteriosclerosi e la cardiopatia coronarica risultano strettamente collegate agli alti livelli di colesterolo.
Oltre a dover ridurre il consumo generale di grassi, allora, dobbiamo anche far prevalere nella dieta quelli di origine vegetale, come l'olio di oliva extravergine (ricco di grassi monoinsaturi) e quegli oli di semi ricchi di polinsaturi: mais, girasole, vinacciolo, soia.
Prevenire l'arteriosclerosi con l'alimentazione quindi, significa usare come grassi di condimento soprattutto l'olio di oliva extravergine e in parte questi oli "monoseme" (da evitare invece l'uso degli oli di semi vari), diminuire l'apporto di carni, di formaggi, di latte, di burro e di tutti quei prodotti dolciari che contengono olio di cocco e di palma (ricchi di grassi saturi). Al tempo stesso è utile incrementare il consumo del pesce, ricco di grassi polinsaturi.
E' preferibile ridurre la quantità di latte assunta, piuttosto che passare ai tipi parzialmente o totalmente scremati: non solo perché così facendo si assumerebbero prodotti qualitativamente meno pregiati come nutrienti (vedi ad esempio una riduzione delle vitamine liposolubili determinata dal processo di scrematura), ma anche perché la produzione dei prodotti scremati porta ad un accumulo di burro, che viene inevitabilmente reintrodotto sul mercato, con campagne pubblicitarie che ci inducono a consumarne più di quello che dovremmo. Spesso poi viene comunque fatto assumere inconsapevolmente agli utenti della ristorazione collettiva (mense, paninoteche, ristoranti) o rivenduto a popolazioni di paesi in difficoltà, meno "protette" anche sul piano dell'informazione culturale.

Eccessivo apporto proteico, con prevalente consumo di proteine "animali"

Il consumo in eccesso di proteine rappresenta uno dei principali problemi di malnutrizione della nostra popolazione. Un'alimentazione troppo ricca di proteine, qualunque sia la loro origine, è di per sé un fatto dannoso per l'organismo (soprattutto per il fegato ed i reni): eccedere poi in proteine di origine animale determina un inevitabile maggior consumo di grassi animali che, come già detto, sono più dannosi per l'organismo. Il concetto, vecchio ma purtroppo sempre presente, che il bambino in crescita abbia bisogno soprattutto della "fettina" non solo è sbagliato, ma rischia di fare danni e di essere di ostacolo ad un sano accrescimento.
La scelta rigidamente vegetariana è però sconsigliata sul piano medico, sia per gli adulti che soprattutto per i bambini, gli adolescenti e le donne in gravidanza e allattamento, in quanto considerata incompleta e a rischio quindi di importanti carenze nutrizionali. Presenta invece alcuni vantaggi dimostrati se di tipo latteo-vegetariana e latteo-uovo-vegetariana.

Eccessivo consumo di zuccheri (carboidrati) "semplici"

Gli zuccheri semplici più comuni nella nostra alimentazione sono il saccarosio (zucchero comune o contenuto nei dolci), il lattosio del latte e il fruttosio della frutta. Sono zuccheri a rapido assorbimento che forniscono un'energia immediata, ma se assunti in eccesso non vengono consumati e sono quindi trasformati in grassi che si depositano nell'organismo. Oltre al sovrappeso e tutto ciò che ne deriva, anche carie e diabete risultano in parte correlati all'eccessivo consumo di zuccheri semplici. L'eccesso di consumo si riferisce però solo a questo tipo di zuccheri.
E' necessario invece un relativo incremento degli zuccheri così detti "complessi": essendo a più lento assorbimento forniscono calorie meglio utilizzabili, senza che l'eccedenza non utilizzata si trasformi in grassi di deposito. E' soprattutto l'amido (le cui fonti sono i cereali, i legumi e le patate) che deve far parte della nostra alimentazione. In un regime alimentare ben equilibrato i carboidrati globalmente devono rappresentare la fonte principale di calorie nella nostra alimentazione (un po' più del 60%). Gli zuccheri semplici (= dolci, caramelle, bibite, frutta, miele) non dovrebbero invece superare il 10-15% della quantità di questi carboidrati introdotti: 10 grammi al giorno di questi zuccheri, in più della dieta normale, portano in un anno ad un incremento di peso di due chili e mezzo!

Eccessivo consumo di sale

Il nostro consumo corrente (mediamente 10-15 grammi al giorno) è molto superiore a quello che è necessario al nostro organismo (circa 3 grammi). La difficoltà a ridurre il sale (cloruro di sodio) nella dieta è data in parte da un problema di gusto, ed è perciò risolvibile rieducando il proprio gusto ed educando fin dall'inizio correttamente quello del bambino. Il vero problema però è dato dalla presenza di elevate quantità di sodio in molti cibi trasformati, preconfezionati, conservati: quantità che può raggiungere anche 50 volte il contenuto naturale di quell'alimento, ma che non viene riconosciuta al gusto per effetto di alcune reazioni chimiche fra sodio e cibo stesso.
La riduzione della "salatura" in cucina e a tavola dunque (anche se necessaria e certo da non trascurare) rischia di essere una misura poco incisiva se contemporaneamente non si riduce drasticamente l'uso di questi prodotti trasformati (e se le industrie alimentari non si adoperano per una riduzione del sale nei loro prodotti). Incrementare l'uso di erbe e spezie aromatiche aiuta a ridurre l'uso del sale nella preparazione dei cibi.

Scarso apporto di fibre

Le fibre vegetali sono fondamentali nella nostra alimentazione perché regolano l'assorbimento dei nutrienti e fanno sì che tutto il tubo digerente venga utilizzato correttamente per questo processo. Un'adeguata introduzione di fibre con gli alimenti (circa 30 grammi al giorno) aiuta a prevenire numerose affezioni (diabete, obesità, stipsi, tumori intestinali). Il modo corretto di introdurre fibre è consumare alimenti che ne sono ricchi, come ortaggi, frutta, legumi e cereali con i loro "involucri naturali" (cioè meno raffinati) e non ricorrere a prodotti dietetici concentrati in fibre.

Elevato consumo di alcolici

Dal momento che l'alcol etilico non è un costituente del nostro organismo, deve essere metabolizzato, cioè trasformato in sostanze a noi simili e questo lavoro viene svolto dal fegato. Quest'organo impiega circa due ore per metabolizzare un bicchiere di vino da 150 ml. Quindi quanto maggiore è la quantità della bevanda alcolica assunta, tanto più lungo e intenso sarà l'impegno del fegato, che viene così distolto da altre funzioni essenziali: questo da luogo a squilibri nutritivi, problemi di tossicità nonchè di dipendenza.
L'alcol etilico è una sostanza tossica per l'organismo e sono numerosi i danni che arreca quando è consumato in eccesso: al fegato, al sistema nervoso, all'apparato digerente. Favorisce inoltre l'obesità poiché apporta molte calorie.
D'altra parte aspetto non trascurabile è che il vino è parte integrante della tradizione alimentare italiana e sembra anche che In piccole dosi possa avere una certa azione positiva, con effetti favorevoli e protettivi sull'apparato digerente e soprattutto su quello cardiovascolare (per alcune componenti minori, presenti però solo nel vino rosso).
Il problema è che purtroppo gli effetti negativi procurati dall'alcol iniziano a quantità molto basse, ed è difficile definire la dose che se ne può assumere senza averne danni. Se una persona è in buona salute e non è in sovrappeso può concedersi il piacere di consumare a tavola un po' di vino non superando i 450 ml al giorno se uomo, e i 300 ml se donna. Dovrebbe invece essere evitato il consumo di superalcolici.
Per la particolarità del metabolismo nei primi anni di vita, deve essere assolutamente vietato l'uso di alcol nel bambino. Dannosa e ad alto rischio la pratica, purtroppo diffusa, di "iniziare" al vino o agli assaggi di alcolici; attenzione va posta anche al rischio che il bambino consumi abitudinariamente dolci preconfezionati che contengono alcol in dosi significative.

Scorretta distribuzione dei pasti nella giornata

Le abitudini di vita attuali hanno fatto sì che i rapporti quantitativi e qualitativi fra i vari pasti della giornata siano progressivamente mutati, a favore della cena e a svantaggio del pranzo e, soprattutto, della prima colazione. Quest'ultima è spesso trascurata, ed i pranzi sono diventati troppo frugali e squilibrati fra i vari nutrienti (ad esempio i pranzi a base di panini). Per compenso il più delle volte la cena risulta estremamente abbondante.
Nel bambino inoltre si compie anche l'errore di disseminare l'arco della giornata di merende aggiuntive. Il tutto dà luogo a squilibri nutrizionali e metabolici, rendendo discontinue le prestazioni dell'organismo nelle varie fasi della giornata e portando in genere ad un eccessivo apporto calorico globale.

Bambini che "non mangiano"

Alcune cause per le quali il bambino può rifiutare il cibo:

- Difficoltà al momento del divezzamento nell'accettare cibi e modalità diverse nell'alimentazione
- Eccessiva importanza data ad alcuni alimenti (es. carne)
- Alimentazione squilibrata e continua ("merende a tutte le ore")
- Variabilità dell'appetito, legata ad esempio ai cambiamenti stagionali o a precedenti periodi di alimentazione abbondante
- Fattori ambientali: caldo, mancanza di attività fisica
- Genitori "ansiosi", troppo scrupolosi nel rispettare uno schema rigido di alimentazione
- Repressione del desiderio del bambino di manipolare i cibi tentando di mangiare da solo
- Tensioni nei rapporti familiari: gelosia, liti, separazioni, ecc.
- Durante l'Incubazione di una malattia e per tutta la sua durata, compresa spesso la convalescenza: tenere a riposo l'apparato digerente è utile a collaborare alle difese dell'organismo

Vi sono poi anche bambini che effettivamente in certi periodi riducono l'alimentazione, e questo può accadere per vari motivi (malattie in corso, convalescenza, problematiche familiari, gelosie con i fratelli, scuola, ecc.). Si tratta in genere di fasi transitorie che non richiedono alcun intervento, ed è comunque inutile stimolare l'appetito con farmaci: in questi casi, più corretto e certamente più produttivo è occuparsi delle cause che hanno provocato la disappetenza.
I farmaci "ricostituenti" sono ancora oggi fra i più venduti, e non solo i "polivitaminici", il cui uso ha senso solo in alcune precise patologie, ma anche i cosiddetti integratori "naturali", come la pappa reale, il ginseng, e altro. Si tratta di prodotti carichi di suggestione, presentati come capaci di ricostituire qualcosa che si è perso (l'appetito, la memoria, il vigore fisico) e di restituire alla persona, al bambino, allo studente, la carica necessaria per affrontare le difficoltà e gli impegni quotidiani.
Gli studiosi giudicano questi prodotti completamente inutili. Questi farmaci rappresentano evidentemente solo una prescrizione medica semplicistica e priva di rigore scientifico, un'illusione per il genitore che li dà con fiducia al bambino e soprattutto un buon affare per chi li produce.

L'alimentazione non è mai solo un fatto di cifre, a nessuna età. Entra sempre in gioco la complessità dei rapporti, come quelli instaurati dai genitori con il bambino e dal bambino con i genitori. I genitori dovrebbero cercare di capire le proprie ansie, quale è la loro origine e cercare di non soccombervi: potrebbero per esempio pensare che il bambino sia un essere molto più fragile di quanto non sia in realtà, che non abbia nessun meccanismo di difesa e di scelta, che se non mangia quanto vogliamo e come vogliamo "non ci vuole bene", ecc.

Il bambino può opporsi a tutto questo e rifiutare di mangiare più di quanto gli è necessario. Scatta allora nei genitori il timore che il figlio sia disappetente: si instaura un meccanismo che vede da una parte il genitore che insiste perché il bambino mangi e dall'altra il bambino che insiste nel rifiuto.
Tale stato di cose può durare nel tempo, per più anni, tanto che per molti genitori il mangiare diventa una specie di guerra/sfida.
Di fronte all'inappetenza del bambino o ad atteggiamenti di parziale rifiuto dei cibi, si dovrebbero sempre avere un comportamento non autoritario e quindi di rispetto della sua autodeterminazione.

"Il bambino non mangia nulla! Beve solo latte"

E' piuttosto diffuso il concetto che il latte e lo yogurt siano "solo" bevande: in realtà bere una tazza di latte è "mangiare" ( si assumono grassi, proteine, carboidrati, sali minerali, vitamine, acqua). Quanti genitori si lamentano del fatto che il proprio figlio "non mangia praticamente nulla, beve solo latte!": in realtà questo bambino sta mangiando, ed oltre tutto sta assumendo un alimento completo, capace di fornire adeguatamente calorie e nutrimento. Questo atteggiamento nei confronti del latte spiega in parte il fatto che molti genitori non vedono l'ora di divezzare il bambino perché cominci a "mangiare davvero"; il concetto del latte "solo" bevanda crea non poche difficoltà nel convincere i genitori ad alimentare a solo latte il figlio per almeno i primi quattro/cinque mesi di vita. E' un errore anche quello di abituare il bambino a consumare latte come "bevanda" durante il pasto, con un probabile conseguente eccesso nell'apporto calorico. Ancora peggio bere bicchieri di latte fra un pasto e l'altro, commettendo due errori: mangiare troppo e troppo spesso.

Ci sono alcune conoscenze e considerazioni razionali che potrebbero aiutare l'adulto a tranquillizzarsi nelle sue valutazioni:
- il bisogno di introdurre calorie e quindi proteine, lipidi e liquidi si riduce sensibilmente dopo il primo anno di età;
- esistono variazioni individuali riguardanti la quantità di alimenti necessari e nello stesso bambino è possibile osservare variazioni nel tempo del tutto normali;
- il giudizio sul fatto che il bambino mangi poco non è ben definito (si tratta dell'impressione dell'adulto, più che di dati correlati all'assunzione del cibo in rapporto al reale fabbisogno di quel bambino) ed è in genere in conflitto con i positivi dati relativi alla crescita in peso ed altezza;
- un bambino sovralimentato nel primo anno di vita (evenienza tutt'altro che rara) tende a mangiare meno nel secondo anno;
- periodi transitori di eccitazione e di ansia tendono a tradursi in un momentaneo rifiuto del cibo;
- in una sperimentazione svolta su bambini nel corso del divezzamento, questi messi di fronte a vari alimenti, in pochi giorni hanno scelto una dieta equilibrata, del tutto confacente alle loro esigenze: va quindi data fiducia alla capacità di autoregolazione del bambino;
- può influire nelle richieste di maggiore assunzione di cibo il fatto di voler adeguare l'immagine del proprio bambino a quella del bambino di tanta pubblicità, un bambino grasso e paffuto. Il modello di bellezza infantile, al contrario del modello di bellezza adulta, viene offerto nella stragrande maggioranza dei mass media come "grasso" (se non addirittura obeso).
- un bambino che è stato capace di correre, giocare, restare attivo per gran parte della sua giornata, è quasi certo che abbia assunto calorie in quantità sufficiente a soddisfare il suo fabbisogno energetico.

Bambini che mangiano troppo

Alla base dell'obesità vi sono soprattutto fattori genetici e neuropsicologici, sui quali si inseriscono fattori culturali e socioeconomici, con conseguenti abitudini di vita scorrette (alimentazione eccessiva, scarsa attività fisica).
Recenti studi imputerebbero prevalentemente al metabolismo il determinarsi dell'obesità: sarebbero a rischio soprattutto gli individui con bassa spesa energetica di base (cioè con una predisposizione metabolica genetica).
Negli anni '70 furono condotti degli studi che sembravano dimostrare che un eccessivo aumento di peso già nella prima infanzia portava ad un aumento numerico delle cellule del tessuto adiposo con conseguente predisposizione all'obesità per tutta la vita. Una teoria che è stata in seguito confutata e tuttora non è stato possibile verificarne l'esattezza. Questo però non significa che non dobbiamo preoccuparci dell'eccesso di peso del lattante: questo di per sé comporta inconvenienti, indipendentemente dal fatto che si traduca o no in obesità dell'adulto. Si pensi soprattutto ai problemi relazionali ed emotivi connessi con l'obesità nell'infanzia e alle difficoltà che crea nell'apprendimento delle funzioni motorie.
Quindi oltre ai rischi probabili, anche se da dimostrare, ne esistono di certi, che ci fanno ritenere opportuno tenere sotto controllo il peso già nel lattante. Indispensabile a questo proposito, come già detto, non anticipare l'inserimento di cibi solidi prima dei sei mesi, proprio per il rischio che comportano di aumentare eccessivamente l'apporto energetico e quindi di portare il bambino in sovrappeso.
Importantissimo condurre bene il divezzamento, "consegnando" subito al bambino corrette abitudini alimentari e motorie: è il modo più efficace per prevenire eccessi di peso nelle età successive.
Il bambino obeso è a rischio di restare obeso da adulto: riportare il peso entro valori normali richiede una disciplina rigorosa e continuativa, dato che le ricadute sono frequenti. E' bene quindi saper mantenere il proprio peso nei limiti consigliati fin dall'infanzia per non dover ricorrere da adulti a faticosi trattamenti correttivi.

Bambini sedentari

Valori troppo bassi di dispendio energetico rendono difficile mantenere l'equilibrio fra entrate ed uscite caloriche. Quindi il mantenimento e il raggiungimento di un peso corporeo corretto si ottiene non solo attraverso il controllo dell'alimentazione ma anche attraverso la pratica di una vita fisica attiva, a qualunque età.
La preoccupante diffusione del sovrappeso e dell'obesità nella nostra società è in buona parte attribuibile proprio al fatto che la vita moderna promuove stili di vita estremamente sedentari, con livelli assai ridotti di attività fisica, il tutto peggiorato naturalmente da un eccessivo apporto calorico alimentare.
Anche nella popolazione infantile italiana si fa sempre più evidente il problema del sovrappeso come frutto di una vita sedentaria. Per esempio, passare molte ore di fronte al televisore, magari consumando nervosamente dolciumi vari sotto la tensione o l'attrazione del programma seguito, predispone sicuramente ad un eccessivo aumento ponderale. Recenti studi hanno evidenziato che in Italia il bambino trascorre mediamente, già all'età di sei anni, quasi due ore al giorno di fronte alla televisione, trascurando sempre di più giochi che lo impegnerebbero fisicamente.
Oltre a rappresentare un fattore predisponente all'obesità, l'abitudine a livelli molto bassi di attività fisica coinvolge altri aspetti della salute. Uno stile di vita sedentario rappresenta, una volta adulti, un fattore di rischio per cardiopatia coronarica, diabete e tumore del colon. Un livello medio/alto di attività fisica è per altro lo strumento migliore per prevenire l'osteoporosi senile. I bambini che si mantengono attivi durante tutto il periodo della crescita avranno uno scheletro più robusto da adulti, e da anziani saranno più difficilmente soggetti a fratture. Uno stile di vita fisicamente attivo è utile anche per abbassare in modo apprezzabile la pressione arteriosa.
E' bene chiarire che per stile di vita "fisicamente attivo" si deve intendere innanzitutto un tipo di comportamento che dia la preferenza, nell'espletamento delle attività quotidiane, all'uso dei propri muscoli piuttosto che all'uso delle macchine. Ad esempio: ogni qual volta è possibile, camminare invece di usare l'auto, salire e scendere le scale piuttosto che servirsi dell'ascensore, e così via. Non si tratta quindi tanto di rigenerare muscoli trascurati con tour forzati di poche ore settimanali in palestra o su un campo da tennis, ma piuttosto di impostare un più sano stile di vita, fin da bambini, con abitudini che consentano un regolare, continuo, adeguato uso di tutto il proprio corpo, ogni giorno.
Potremmo ad esempio cominciare col ridurre significativamente l'uso quotidiano dell'automobile (che invece aspetta il bambino proprio davanti al portone della scuola, ostacolando il traffico, senza neppure provare a posteggiare più avanti, quasi che il bambino, finito di studiare, non abbia più.....gambe!); e tagli andrebbero dati anche all'uso del motorino (ormai attaccato fisso al fondo dei pantaloni dei nostri figli), e degli ascensori (fatti usare ai bambini, sempre più pigri, anche per un solo piano di scale).
E pensare che così la nostra salute ci guadagnerebbe due volte: una perché ci si muoverebbe di più, e una perché lo si farebbe in un ambiente meno inquinato.

L'accrescimento

Principi generali dello sviluppo


Vi sono alcuni princìpi generali che regolano lo sviluppo biologico:

- Lo sviluppo è un processo continuo, dal concepimento all'età adulta.

- Accrescimento somatico e maturazione psichica sono indissolubili e sempre strettamente interdipendenti. E solo per facilitarne la descrizione che si usa parlarne separatamente; coi rischio però di farli credere indipendenti l'uno dall'altro. Non dobbiamo mai dimenticare che alterazioni e influssi negativi sulla componente fisica della crescita gravano contemporaneamente sulla componente psichica, e viceversa.

- Lo sviluppo avviene in direzione cefalo-caudale (ad esempio, per quanto riguarda l'aspetto psicomotorio dello sviluppo, il bambino prima acquista il controllo della testa, quindi progredisce nell'uso delle mani, infine impara l'uso degli arti inferiori).

- L'ordine con il quale si svolgono le varie tappe dello sviluppo è uguale in tutti gli individui, varia invece da individuo a individuo l'età alla quale le singole tappe vengono raggiunte, e l'intervallo fra una tappa e l'altra (ad esempio è impossibile imparare prima a stare in piedi e poi seduti; si può però stare seduti a età diverse ed essere ugualmente normali).

- La crescita segue un modello di sviluppo fondato sul principio generale che il bambino non è un adulto in miniatura, ma in ogni momento un essere compiuto con proprie caratteristiche somatiche, fisiologiche e psicologiche, correlate con l'età e il sesso (ad esempio il rapporto fra le sostanze chimiche presenti nei tessuti varia a seconda dell'età; nelle varie epoche della vita poi si osservano differenze a seconda dei sesso).

- il modello di sviluppo è in relazione all'ereditarietà, all'epoca e al luogo in cui una popolazione vive, può essere cioè diverso nelle varie parti dei mondo (differenze legate sia a fattori genetici che ambientali). Ne sono un esempio le variazioni secolari della crescita, osservate in ogni parte del mondo. E' stato cioè notato che i bambini maturano sempre più velocemente col trascorrere delle generazioni; in quest'ultimo secolo si è verificato un costante progressivo anticipo di maturazione, al quale però è corrisposto anche un anticipo della fine della crescita. Il bambino di oggi quindi anticipa il suo sviluppo rispetto a quello di decenni fa, ma cessa di crescere, nel contempo, prima che in passato. Prendendo come esempio l'altezza, si vede che l'adulto di oggi è in media più alto di circa 5-6 centimetri degli adulti di un secolo fa. Mentre i bambini, confrontati a parità di età, risultano molto più avanzati nella crescita in altezza. Le cause di queste variazioni nel tempo della velocità di maturazione sono certamente molteplici, ma ancora non ben chiare. In parte influiscono il miglioramento della nutrizione e delle condizioni igieniche, sanitarie, socioeconomiche. Altra causa può essere la maggior frequenza di unioni tra persone provenienti da più parti dei mondo, creando così una maggior varietà di geni nel patrimonio individuale dell'informazione cromosomica.

- Lo sviluppo è legato in modo particolare alla maturazione del sistema nervoso centrale. Perché una funzione geneticamente determinata possa realizzarsi è cioè indispensabile la maturazione e l'integrità delle strutture competenti.

- il processo di maturazione è anticipato nel sesso femminile. Rispetto ai principali indicatori di maturità (quali ad esempio la maturazione scheletrica e l'inizio dell'adolescenza), la bambina è in media più avanzata dei bambino, a qualsiasi età.

- L'accrescimento segue un suo modello generale al quale si adegua sia il corpo considerato nel suo insieme, che alcuni apparati e segmenti (apparato respiratorio, digerente, muscolare, peso, altezza). Il modello è quello di una curva con andatura irregolare, con un rapido accrescimento nei primi anni, quindi con una crescita più lenta fino all'inizio dell'adolescenza, e infine con un nuovo rapido accrescimento durante l'adolescenza. Alcuni apparati e parti dei corpo però non seguono questo modello. Ad esempio l'apparato di riproduzione ha una crescita molto lenta fino all'adolescenza, momento in cui diviene rapidissima. Il cervello segue una curva opposta: la maturazione è rapidissima nei primi anni di vita, poi si fa lenta fino ad annullarsi verso l'adolescenza.

La crescita in peso e altezza

Il processo di crescita in altezza non è graduale, continuo e uniforme: esistono periodi della vita in cui è accelerato e tumultuoso e altri in cui è rallentato.
L'accrescimento in altezza è rapidissimo nel periodo intrauterino e resta piuttosto intenso anche nel primo anno di vita. Il neonato è alto in media 50 cm se maschio e 49 se femmina. Nei primi sei mesi cresce con un ritmo di 2-2,5 cm ogni mese. Quindi prosegue a 1-1,5 cm al mese. All'anno di vita l'altezza è aumentata di quasi il 50% (in media un bambino ad un anno è alto 74-75 cm). Nel secondo anno l'accrescimento è di circa 1 cm al mese, tendendo progressivamente a decrescere negli anni successivi, per riaumentare poi sensibilmente all'età puberale. Un aumento in altezza apprezzabile termina nelle femmine al sedicesimo-diciottesimo anno, e nei maschi al ventesimo-ventiduesimo anno.
Anche le variazioni del peso seguono una curva con andamento irregolare, analogo a quella dello sviluppo somatico generale; vi sono cioè fasi di rapido accrescimento ponderale alternate a fasi di crescita meno marcata.

L'aumento progressivo di peso è molto evidente nel periodo intrauterino: si passa da 1 gr circa alle sei settimane ad un peso che è quattro-cinque volte superiore in solo dieci-quindici giorni. A sedici settimane il peso è circa 200 gr; in altre sedici settimane raggiunge i 2.500 gr in media.
Alla nascita il peso medio è di 3,400 Kg (lievemente inferiore in media per le femmine). Quasi sempre nei primi giorni di vita il neonato perde peso (il fenomeno viene definito calo fisiologico). Il peso della nascita è nuovamente raggiunto in genere dopo circa dieci-quindici giorni. L'aumento medio giornaliero è di circa 20-30 gr nel primo trimestre; quindi diminuisce, e verso la fine del primo anno è di 70-100 gr alla settimana. Durante il secondo anno di vita l'incremento ponderale medio si riduce ulteriormente a circa 200 gr al mese.

Non si deve pensare che il bambino debba aumentare regolarmente tutti i giorni di un certo numero di grammi: sono normalissime pause anche di diversi giorni; perfettamente inutile quindi pesare tutti i giorni o comunque con un ritmo troppo frequente il bambino. Nei primi mesi di vita può essere utile una valutazione settimanale dell'incremento di peso (150-200 gr circa). In seguito sarà sufficiente rilevare il peso e l'altezza del bambino in occasione dei controlli pediatrici programmati alle varie età.

Curve di crescita per i bambini allattati al seno

Le attuali curve di crescita usate per la valutazione dei bambini da 0 a 3 anni risalgono agli inizi degli anni '70 e sono state costruite partendo da popolazioni di bambini prevalentemente allattati artificialmente. Negli ultimi anni si è reso sempre più evidente che tali parametri non erano adeguati per descrivere la crescita dei bambini allattati al seno, che tendono infatti a crescere più rapidamente nel corso dei primi 3- 4 mesi di vita e più lentamente in seguito: ciò comporta una errata valutazione della crescita dei bambini allattati dalle proprie mamme. Per questi motivi è necessario usare delle curve specifiche per tali bambini che oggi, diversamente da 20 anni fa, rappresentano la maggioranza della popolazione.

Le curve di crescita qui riportate sono state elaborate da un'apposita commissione di lavoro deIl'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) che ha rivisto i dati esistenti in merito e costruito le tabelle di crescita qui riprodotte per i bambini allattati al seno.